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La lezione dimenticata dei subprime. Se negli Usa torna lo spettro della Grande crisi

Sono passati undici anni ma potrebbe sembrare ieri. Era il 2007 quando negli Stati Uniti esplose la bolla dei mutui subprime per l’acquisto di un’abitazione. Prestiti concessi a chi non aveva le carte in regola per rimborsarne le rate. Il resto è storia nota, visto che da lì partì la peggiore crisi che l’uomo ricordi. Eppure l’America di Donald Trump, finita sotto il fuoco globale per la decisione sui dazi ad acciaio e alluminio, sembra non aver perso del tutto il vizio. Certo, dieci anni di crisi nera sono serviti a qualcosa. La vigilanza è aumentata, parecchie banche sono fallite e le autorità finanziarie hanno imparato a tenere gli occhi aperti.

Eppure un cono d’ombra è rimasto. Lo ha messo nero su bianco uno dei più prestigiosi think tank americani, Brookings, in un report (qui il documento), di pochi giorni fa, rilanciato dal Financial Times. Tutto ruota intorno a quelle società che non esercitano attività bancaria ma sono egualmente autorizzate a erogare prestiti e finanziamenti per la casa. Il fatto è che suddette realtà non hanno sufficiente liquidità per superare un’eventuale insolvenza da parte dei destinatari dei prestiti. Proprio come i subprime, solo che al posto delle banche ci sono società di finanziamento. Ma il meccanismo è lo stesso.

I numeri danno come al solito la dimensione del problema che vede tante piccole finanziarie non sufficientemente equipaggiate. Come, in fin dei conti, non era Lehman Brothers, il simbolo della crisi mondiale. I mutui concessi da società non bancarie sono stati nel 2017 circa la metà di tutti i mutui erogati nel 2016, e il 75% di quelli assicurati dalla Federal Housing Administration, la vigilanza sul comparto immobiliare. Si tratta “di quote molto superiori a quelle che il settore ricopriva negli anni Duemila, prima della crisi finanziaria del 2007-2008”. Dunque, c’è stato un exploit di questo tipo di società.

Di più. Secondo il report, “i fallimenti non bancari potrebbero essere piuttosto costosi per il governo. Il problema è che in pochi lo sanno, visto che il problema ha ricevuto finora pochissima attenzione nel dibattito”. C’è un’altra considerazione da fare. E cioè che i mutui erogati da soggetti non bancari hanno una qualità creditizia inferiore rispetto a quelli delle banche, rendendoli più vulnerabili alle inadempienze o al calo dei prezzi delle abitazioni”.

Se dunque si andasse incontro a un crollo dei prezzi del mattone o più semplicemente a una crescente difficoltà nel rimborsare le rate (il grosso dei mutui è concesso alla middle class), tutte queste non-banche salterebbero, costringendo l’amministrazione Trump a fare quello che dovette fare Obama ai tempi dei subprime, massicce iniezioni di capitale attraverso la Federal Reserve. Nel 2008 Citigroup negoziò addirittura col governo una nuova iniezione di capitale per portare al 40% la quota azionaria posseduta dal governo federale nel gruppo.

“Il settore non bancario sembra avere risorse minime per fronteggiare uno scenario di stress”, scrive Brookings. Il monito è chiaro: “Questi sono gli stessi problemi di liquidità che si sono rivelati durante la crisi finanziaria 2007-2008, portando al fallimento di molte compagnie, con conseguenti costi per il governo”. La Casa Bianca è avvisata.

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