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Ritratto del ministro Paolo Savona, economista fine e illuminato

Di Francesco Marinelli

Paolo Savona è stato ed è ancora una figura irrinunciabile per capire la recente storia economica e finanziaria italiana. Fu ministro nel governo Ciampi, nel 1993, proprio quando si programmava l’ingresso del nostro Paese nel sistema della moneta unica. Ne riparleremo.

Paolo Savona è stato fin dall’inizio dei suoi studi un allievo, tra i prediletti, di Guido Carli. Poco dopo la laurea fu assunto per concorso al Servizio Studi della Banca d’Italia, di cui Carli era governatore, diventando direttore dell’Ufficio Mercati Finanziari. Savona ha frequentato i corsi di Franco Modigliani al Mit di Cambridge (Usa) ed è uno dei pochi italiani che ha collaborato con la Special Studies Section della Federal Rerserve in Washington, D.C.

In Banca d’Italia ha collaborato con Paolo Baffi e Antonio Fazio, con il quale ha costruito il primo modello econometrico dell’economia italiana, detto M1BI.

Dopo aver vinto la cattedra all’Università ha seguito Carli in Confindustria come direttore generale ed è stato poi presidente del Credito Industriale Sardo, ceo della Banca Nazionale del Lavoro, presidente del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi, e ancora in Gemina, Aeroporti di Roma, Consorzio Venezia Nuova e Consigliere di Rcs.

Francesco Cossiga, maestro, ne ha sempre apprezzato la conoscenza dei temi economici, la creatività intellettuale, il rigore scientifico, l’ironia.

Sul piano politico, Paolo Savona è stato ministro dell’Industria nel già citato governo Ciampi, capo del dipartimento per le politiche europee nel III governo Berlusconi, nel 2005-2006, coordinatore per la “strategia di Lisbona” dell’Eu.

Insomma, una carriera fulgida, lunga, meritata e sempre a metà tra teoria economica e impegno professionale.

Paolo Savona non è mai stato un “consulente a contratto”, come certi altri personaggi dell’attuale e delle precedenti Repubbliche, ma è sempre stato fedele alla sua linea di pensiero, che ha talvolta imposto a governi e aziende. Quindi, il suo impegno attuale nel governo Conte è decisivo per il suddetto governo e l’Italia.

Per Savona, è bene ripeterlo, non si deve affatto uscire dall’euro. Anche Ciampi però, da presidente del Consiglio, europeista convinto, disse, come lui, che l’euro e l’unione monetaria era “zoppa”.

Una certa canea di ignoranti che adorano i luoghi comuni dipinge Savona come “antieuropeista”. Mai errore fu più grande, nella valutazione politica di un dirigente di tale livello.

Ciampi, da premier, diceva con quella unione “zoppa” che, se non la si modificava avrebbe, la moneta unica, accentuato il divario tra aree forti e deboli della Ue. Savona, infatti, non chiede cose esterne ai Trattati dell’Unione: chiede che l’unione monetaria debba rispettare l’art. 3 del Trattato di Lisbona, ovvero che essa, l’unione monetaria, rispetti la Costituzione Europea.

L’articolo 3, quello che definisce l’obiettivo dello sviluppo sostenibile dell’Europa, alla piena occupazione e al progresso sociale. Qui non c’è niente che assomigli alle chiacchiere sul famoso “Piano B”, di uscita dall’Eu dell’Italia che, ovviamente, si scrive e si progetta in ogni cancelleria europea, e da tempo.

Qual è quindi il progetto di Paolo Savona al governo, per la seconda volta? I mali dell’Italia sono noti. Il debito pubblico le impedisce ogni investimento. Essa però può disporre, nell’idea di fondo di Savona, di circa 50 miliardi di nuovi investimenti, che è la cifra pari al nostro eccesso di risparmio inutilizzato, come denota il 2,7% delle partite correnti del commercio estero.

Se il moltiplicatore di questo investimento è 2, un livello basso, allora l’aumento del Pil sarebbe di 35 miliardi di euro, con un derivato aumento del gettito fiscale di 17 miliardi, una cifra tale da permettere, senza pericolosi sfondamenti del debito pubblico, di iniziare a realizzare simultaneamente tutti i progetti del governo Conte.

Ma ci sono tre problemi che potrebbero impedire questo progetto: primo, le procedure anticorruzione rendono lungo e difficile ogni investimento, e infatti il governo sta lavorando per semplificarle, senza rinunciare all’obiettivo di lottare contro la criminalità organizzata.

Poi, secondo problema, occorre controllare i tempi che corrono tra la spesa per investimenti e quella per i consumi, il che non è affatto facile. Infine, terzo, la Commissione europea dovrebbe permettere la messa in opera del piano da 50 miliardi, che all’inizio farebbe aumentare il rapporto deficit/Pil, ma in seguito, con il moltiplicatore all’opera, diminuirebbe ben oltre gli attuali livelli.

Ma la Commissione è dominata da Paesi che non sono amici dell’Italia, ma concorrenti. Quindi, è molto probabile che il progetto di Savona verrà impedito e, quindi, di conseguenza, l’Italia dovrà stare molto attenta a futuri attacchi speculativi sul suo debito estero.

Cosa farà, allora, Savona? Nessuno ancora lo sa. Ma farà certamente bene.

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