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Il candidato alla presidenza Usa, Donald Trump, che vuole costruire una muraglia contro l’immigrazione dal Messico, ha dichiarato: “Se ti laurei all’università contemporaneamente dovresti avere un permesso di residenza permanente”. Il motivo è semplice, come scrive The Economist nella sua recente storia di copertina, in America gli immigrati di prima generazione sono il 14% della popolazione ma responsabili per il 36% dell’innovazione totale. Cioè gli immigrati che studiano sono il grande motore di crescita del Paese.

L’allarme in America, infatti, è che altri Paesi competitivi, come Dubai, abbiano politiche migliori per attirare più talenti stranieri. Essi nel medio lungo termine sposteranno l’innovazione fuori dagli Stati Uniti. Attirare talenti stranieri, si sa da sempre, migliora la qualità della squadra. È una verità talmente banale che nessuno si scandalizza a pagare a peso d’oro calciatori non italiani e coprirli di privilegi di ogni tipo. Ma i laureati stranieri no. Eppure, con tutto il rispetto per i ventidue signori in pantaloncini corti che si rimbalzano la palla per novanta minuti alla settimana, i laureati sono più importanti dei goal.

Da settimane, il leader di Forza Italia (FI), Antonio Tajani, batte sullo ius scholae, cioè dare la cittadinanza a chi ha svolto almeno cinque anni di scuole in Italia. Il leader della Lega in Veneto, Luca Zaia, gli ha dato una sponda e, come dice un veterano della politica con Michele Anzaldi, in Parlamento c’è di fatto una maggioranza a favore dello ius scholae.

Eppure il partito di maggioranza relativa Fratelli d’Italia (FdI), guidato dalla premier Giorgia Meloni, non si è pronunciato. I progenitori di FdI, invece, avevano promosso la elezione degli “italiani all’estero”, cioè il contrario dei cittadini dello ius scholae, persone residenti fuori, italiani per ius sanguinis.

Tirando a indovinare in maniera molto cinica, se FdI dice sì allo ius scholae rinnega una sua anima razzista; se dice no la rivela a luce piena. Finisce in ogni caso la sua “ambiguità strategica” su elementi forse non nobilissimi del suo dna culturale che non hanno, né possono avere, cittadinanza oltre l’Atlantico. Ma tali elementi, serbati quasi come in una teca trasparente ma non esposta all’aria, hanno un valore elettorale oltre che identitario. L’idea è che i voti dei neo cittadini italiani scolastici non andranno a FdI. Per FdI e Meloni è un veleno comunque essi scelgano di affrontare la materia, e il ritardo alimenta solo sospetti in Italia e nel mondo che lei e il suo partito siano restati fascisti.

La domanda interessante forse però è un’altra ancora: perché il mite Tajani insiste a offrire questa tazza avvelenata alla premier tutti i giorni, mentre la sinistra lo segue con esitazione e persino l’ex rottamatore Matteo Renzi preferisce incalzare Giorgia su una incerta storia di nomine Rai con la sorella Arianna? La vicenda delle sorelle e della Rai, come tante simili in Italia, finirà come un fuoco di paglia, mentre lo ius scholae rischia di cambiare il dna del Paese. Renzi e gli altri dovrebbero battersi su questo, ma non lo fanno.

Cioè oggi FI sta portando avanti una vera campagna politica su un tema fondamentale: come sarà l’Italia con o senza ius scholae, chi parteciperà alla crescita del Paese e chi voterà alle elezioni. FI ha assunto una leadership politica che, se estesa su altri temi, potrebbe rapidamente cambiare molte dinamiche nazionali e magari, forse, anche portare ad un altro esecutivo, con o senza elezioni anticipate.

Meloni può ancora uscire dall’angolo ma dovrebbe ripensare molti elementi del suo governo finora. Non è chiaro se abbia la voglia, o la forza, di farlo.

Perché per Meloni lo ius scholae è una tazza avvelenata. Il commento di Sisci

Oggi FI sta portando avanti una vera campagna politica su un tema fondamentale: come sarà l’Italia con o senza ius scholae, chi parteciperà alla crescita del Paese e chi voterà alle elezioni. Meloni può ancora uscire dall’angolo ma dovrebbe ripensare molti elementi del suo governo finora. Non è chiaro se abbia la voglia, o la forza, di farlo. La versione di Francesco Sisci

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