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Il Patto che abbiamo sottoscritto è il frutto di un articolato processo negoziale per il quale voglio ringraziare il Presidente dell’Assemblea Generale, i negoziatori e tutti gli Stati membri.

La fase che si apre oggi, quella dell’attuazione, è ancora più complessa e ancora più decisiva.

Le sfide che la storia ci ha messo di fronte sono numerose e multiformi: il cambiamento climatico, le disuguaglianze sociali ed economiche, le crisi umanitarie e sanitarie, la criminalità transnazionale, i conflitti armati – a partire dalla inaccettabile guerra di aggressione russa nei confronti di una Nazione sovrana come l’Ucraina – che rendono sempre più precaria la sicurezza internazionale. Di fronte a uno scenario così complesso non abbiamo altra scelta che quella di agire.

Penso che sia evidente a tutti che viviamo un tempo di crisi. Però le crisi nascondono sempre anche un’opportunità. La parola crisi, del resto, deriva dal greco krisis, che significa scelta, decisione. Le crisi costringono a mettersi in discussione, a schierarsi, non consentono tentennamenti.

Sappiamo tutti che nessuno Stato può efficacemente governare da solo le sfide di questo tempo. Per questo l’Italia è una convinta sostenitrice del multilateralismo e della sua istituzione più rappresentativa, le Nazioni Unite. Il luogo nel quale ogni voce viene ascoltata, il luogo nel quale siamo chiamati imparare, a capirci e a rispettarci.

Chiaramente, ogni organizzazione è efficace se le sue regole sono giuste e condivise. Per questo siamo convinti che qualsiasi revisione della governance delle Nazioni Unite, particolarmente per ciò che riguarda il Consiglio di Sicurezza, non possa prescindere dai principi di eguaglianza, democraticità e rappresentatività.

La riforma ha un senso se viene fatta per tutti e non solamente per alcuni. Non ci interessa creare nuove gerarchie, e non crediamo che esistano nazioni di serie A e nazioni di serie B. Esistono le Nazioni, con le loro storie, le loro peculiarità, e con i loro cittadini, che hanno tutti gli stessi diritti, perché gli individui nascono liberi e uguali.

Significa anche che dobbiamo pensare in modo nuovo la cooperazione tra le nazioni. L’Italia lo ha fatto, per esempio, con il Piano Mattei per l’Africa, un piano di investimenti pensato per cooperare con le nazioni africane attraverso un approccio che non è paternalistico né caritatevole, né predatorio, ma basato sul rispetto e sul diritto per ciascuno di poter competere ad armi pari.

È la nostra ricetta per promuovere lo sviluppo di un continente troppo spesso sottovalutato, per costruirne la stabilità, e garantire finalmente un diritto che fino ad oggi è stato negato a troppi giovani, che è il diritto a non dover emigrare.

E quando parliamo di sviluppo non possiamo non occuparci delle nuove frontiere del progresso tecnologico, a partire dall’intelligenza artificiale generativa. Un fenomeno del quale, temo, non sia abbia ancora sufficiente consapevolezza.

L’intelligenza artificiale è, soprattutto, un grande moltiplicatore. Ma la domanda alla quale dobbiamo rispondere è: che cosa vogliamo moltiplicare? Per capirci, se questo moltiplicatore venisse usato per curare malattie oggi incurabili, allora quel moltiplicatore concorrerebbe al bene comune. Ma se invece quel moltiplicatore venisse utilizzato per divaricare ulteriormente gli equilibri globali, allora gli scenari sarebbero potenzialmente catastrofici.

Le macchine non risponderanno a queste domande. Noi possiamo farlo, la politica deve farlo. Ed è la politica che deve garantire che l’intelligenza artificiale rimanga controllata dall’uomo e mantenga l’uomo al centro.

Sono tutte materie che affrontiamo in questo patto, e sono tutte materie che l’Italia ha voluto porre al centro dell’agenda del suo anno di Presidenza G7.

Eccolo, il ruolo del multilateralismo. Non un club nel quale incontrarsi per scrivere inutili documenti zeppi di buoni propositi, ma il luogo nel quale si devono fare i conti con l’urgenza delle decisioni, il luogo nel quale le idee devono diventare azione, facendo sintesi tra le diverse sensibilità.

Perché non dobbiamo mai dimenticare che le decisioni che prendiamo oggi saranno il mondo nel quale i nostri figli vivranno domani.

Come diceva William Stanley Merwin, uno dei principali poeti americani del Dopoguerra, noi “siamo l’eco del futuro”.

Vi ringrazio.

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