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Cosa farò per il centrodestra. Parla Stefano Parisi

stefano parisi

Voglio solo dare una mano e fornire un contributo di idee e di proposte. Non dobbiamo disperdere quanto di buono siamo riusciti a fare a Milano“. Stefano Parisi è l’uomo del momento per questo centrodestra sempre più in cerca d’autore: l’esponente liberale e moderato cui molti guardano per ricompattare un’area politica oggi sfilacciata e in crisi d’identità. L’ex candidato sindaco di Milano – arrivato secondo alle ultime amministrative, distante solo tre punti dal vincitore Beppe Sala – ormai è in campo: lo dimostra il clamore mediatico che suscitano ogni giorno le sue parole. Microfoni e telecamere lo rincorrono, com’è avvenuto ieri a Roma nel corso del dibattito organizzato da Gaetano Quagliariello sulle riforme costituzionali. Il diretto interessato, però, nega di avere ambizioni di leadership a livello nazionale e in questa conversazione con Formiche.net fa il punto sulla situazione politica italiana e indica le sue priorità per rimettere in carreggiata il centrodestra.

Stefano Parisi, lei è in campo per guidare il centrodestra?

Non è una questione personale o di nomi. Non voglio rubare il posto a nessuno, ci mancherebbe altro. Voglio solo dare il mio contributo e mettermi a disposizione per far sì che l’esperienza milanese possa essere valorizzata. E’ da lì che dobbiamo ripartire. Abbiamo ottenuto un ottimo risultato – il migliore nelle città metropolitane – e abbiamo tenuto unita tutta la coalizione. Molti dei temi della campagna elettorale di Milano sono declinabili anche a livello nazionale. Continuiamo su questa direzione.

Il centrodestra, però, è alla ricerca di una figura che sia in grado di federare questa galassia così eterogenea di forze politiche. Pensa di rispondere all’identikit?

Ma non lo so, non devo essere io a dirlo. Il centrodestra è fatto da tante persone che hanno dato un contributo importante negli anni e anche da tanti giovani esponenti politici che stanno facendo un gran lavoro. Non penso sia questo il problema. Il tema vero è un altro: dobbiamo ricostruire i fondamentali culturali del centrodestra, quelli tipici di una forza liberale e popolare che sia in grado di parlare un linguaggio chiaro ai cittadini. Ci sono state ovunque sconfitte pesanti e spaccature, ad eccezione di Milano.

Le primarie sono lo strumento da utilizzare per scegliere il prossimo leader del centrodestra?

Non saprei, è ancora presto per interrogarsi su un tema del genere. Credo che queste decisioni saranno prese più avanti. Dipenderà anche da cosa dirà il fondatore e padre di quest’area politica Silvio Berlusconi: l’ultima parola com’è giusto e inevitabile che sia, spetta a lui.

Che tipo di rapporti pensa sia giusto tenere con Matteo Salvini? Il centrodestra del futuro prevede anche lui?

Nei sistemi maggioritari in tutte le coalizioni ci sono posizioni più radicali e posizioni più moderate. Noi siamo certamente l’ala più moderata. La Lega al nord rappresenta un malessere oggettivo che c’è, dovuto a tanti fattori: l’inefficienza dello Stato, la burocrazia, l’immigrazione non gestita. Le forze prevalenti, però, sono quelle che vogliono dare una soluzione a questi problemi e non solo rappresentarli. Lo ripeto: ogni coalizione è fatta di anime diverse ma le leadership, però, devono essere moderate.

Lei ha annunciato il suo No alla riforma costituzionale Renzi-Boschi. Perché è contrario?

Per tante ragioni, in primis perchè il contenuto della riforma è confuso. Si è cercato di intervenire su una pluralità di questioni ma lo si è fatto in modo non chiaro. Il nuovo Senato, ad esempio, non si capisce bene cosa debba fare: sarà in parte un Senato delle Regioni ma ne faranno parte anche i senatori a vita, che a vita, peraltro, non sono. C’è una grande confusione.

Quindi anche secondo lei la Costituzione italiana è “la più bella del mondo”?

Non è questo, c’è assoluto bisogno di una riforma: la Costituzione italiana – così com’è – non va più bene. Ma il Governo Renzi avrebbe dovuto agire diversamente. Una riforma corretta della Costituzione dovrebbe semplificare l’ordinamento e rafforzare i poteri del Governo. D’altro canto però si devono introdurre regole volte a garantire la corrispondenza tra maggioranza parlamentare e maggioranza nel Paese. Altrimenti – ed è questo il pericolo cui ci espone il combinato disposto dell’Italicum e della riforma costituzionale di Renzi – rischiamo di avere un Parlamento che è minoranza negli autobus, nelle metropolitane e nei bar.

Lei ha proposto l’istituzione di una nuova Assemblea Costituente. Come dovrebbe articolarsi il percorso della riforma a suo modo di vedere?

Penso si debba approvare immediatamente – il prima possibile  – una legge costituzionale che istituisca una nuova Assemblea Costituente e che abolisca il Senato interamente. Effettuato questo passaggio, dobbiamo restituire la  parola ai cittadini in modo che possano votare sia i loro rappresentanti alla Camera, sia i membri dell’Assemblea Costitutente. Un’elezione, quest’ultima, da farsi con il sistema proporzionale, così da garantirne la massima rappresentatività. In questo modo l’Assemblea Costituente sarebbe autonoma e al riparo dalle intemperie della contingenza politica.

Non pensa però che alcuni degli elementi di questa riforma rispondano a battaglie tipiche del centrodestra? Non è un mistero, d’altronde, che da sinistra molti accusino Renzi di essere troppo berlusconiano.

Renzi non è un liberale e non è un moderato. Lo dimostra il fatto che ormai vince solo quando si presenta con la vecchia formula dell’Ulivo, com’è avvenuto con Sala a Milano. Renzi non è mai stato credibile con l’elettorato moderato.

Non teme le possibili conseguenze del No alla riforma costituzionale? L’inevitabile caduta del Governo, la confusione istituzionale, l’instabilità: c’è chi sta facendo leva su questi argomenti.

La penso come Gaetano Quagliariello: parlare di diluvio in caso di vittoria del No è da irresponsabili. E’ sbagliato anche solo dirlo. I cittadini non possono andare a votare con questa spada di Damocle sulla testa, sotto il ricatto dello spread. Questa è una brutta legge che non deve essere votata.

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