Senza colpo ferire, il redivivo Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano ha disegnato, per la Costituzione, il passaggio, forse, dalla ‘Repubblica Parlamentare’, con un Parlamento composto da una Camera dei Deputati ed un Senato simili come fratelli siamesi, alla ‘Repubblica Presidenziale’ che fu la battaglia, naturalmente persa, all’Assemblea Costituente del 1947 da quei “fastidiosi ed insopportabili” azionisti, indigesti a Palmiro Togliatti e Alcide De Gasperi. Memorabile l’espressione usata da Emilio Lussu: “Abbiamo lavorato per mesi per generare un mostro!”, che il primo gennaio 1948 entro’ ufficialmente in vigore. Il primo dicembre 1946, in un articolo su ‘L’Europeo’, era stato Riccardo Lombardi a proporre sul modello anglosassone la Repubblica Presidenziale in alternativa alla Repubblica Parlamentare, “[…] pratica che rappresenta la forma tipica di degenerazione da cui le democrazie di tipo occidentale devono guardarsi come dalla morte”. Perche’?. “Gli Stati moderni sono caratterizzati da tre fenomeni [spiegava] il primo, il crescente intervenzionismo dello Stato; il secondo, il prevalere dell’elemento permanente (burocrazia, esercito) rispetto all’elemento elettivo (Parlamento); il terzo l’affermarsi dei grandi partiti organizzati, detti di ‘massa’, ed il conseguente spostarsi, in larga misura, della linea dal Parlamento all’interno dei partiti e del potere politico del governo alle direzioni dei partiti”. Era questa la linea degli azionisti che venne caldeggiata, illustrata alla Costituente dal segretario del Pd’A, Piero Calamandrei. Perche’ la Repubblica Presidenziale? Perche’, continuava Lombardi “[…] e’ bene ricordarlo il Presidente della Repubblica e’ anche capo del governo e viene eletto direttamente a suffraggio universale, anziche’ eletto in secondo grado dalla Camera dei Deputati, dai partiti: gia’ in sede di elezioni il candidato alla Presidenza della Repubblica, appunto perche’ sara’ anche il capo del governo, e’ costretto a presentarsi con un programma di governo: il compromesso programmatico non avverra’ tra diversi candidati alla presidenza e dopo le elezioni [..] dunque il compromesso avverra’ prima delle elezioni fra alcuni partiti che […] si accorderanno per la candidatura di un uomo a cui sara’ affidato un programma concordato”. Questo il modello di Repubblica che avevano in testa gli ‘azionisti’, che videro molto prima – come del resto Antonio Gramsci e Piero Gobetti gia’ nel 1920-21 – di altri, ad esempio dei comunisti, i pericoli e la natura del fascismo: “oggi in Spagna, domani in Italia”, fu lo slogan dei fratelli Rosselli. Concludeva Lombardi: “[…] condizioni queste primordiali se si vuole costruire l’edificio solido di una democrazia moderna e non fermarsi ad erigere una facciata magari adorna di solenni quanto simboliche dichiarazioni di diritti, ma dietro la quale persistano il malcostume della ditattura irresponsabile o le consuetudini fiacche del decrepito parlamentarismo pre-fascista”. Quel che questi ‘fastiodiosi, insopportabili’ azionisti temevano di piu’ e’ poi avvenuto: l’occupazione, da parte del sistema dei partiti, dello Stato e dei suoi apparati. Per essi svaniva, nel 1947, ‘La rivoluzione liberale’, sognata dal giovanissimo Piero Gobetti. Non solo, ma subirono pure la beffa di ritrovarsi l’art.7, ossia l’elevazione a norma costituzionale dei Patti Lateranensi stipulati nel 1926 dalla Chiesa con l’Uomo della Provvidenza, Benito Mussolini. Patti che Gramsci, fuori dai dogmatismi di qualsiasi Chiesa e congregazione marxista, a chare lettere definiva nei ‘Quaderni dal carcere’ “la capitolazione” dello Stato. Certo, il contesto di oggi non e’ assimilabile e sovrapponibile a quello del 1947: allora si usciva dall’orrendo ventennio fascista con il quale gli azionisti volevano tagliare di netto, oggi, al contrario, siamo in presenza del tentativo di ‘restrizione’ delle liberta’ e dei diritti individuali e collettivi acquisiti dal ’45 in poi per mano dei cosiddetti ‘poteri forti’, dei mercati e delle lobby finanziarie non solo in Italia ma anche in Europa.
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