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Perché a Matteo Renzi il “Porcellinum” non va giù

Una polizza di assicurazione sulle larghe intese. Così viene interpretato l’accordo trovato ieri dalla maggioranza di governo su una riforma “minimal” del Porcellum, già ribattezzato nella nuova versione “Porcellinum”, che dovrebbe essere pronta prima dell’estate.

Una versione che non va giù a moltissimi nel Pd. A Matteo Renzi in primis che, d’accordo, ha promesso lealtà a Enrico Letta ma non ha mai nascosto di voler guidare un giorno il Paese e sa bene che più il ritorno alle urne si allontana, più il suo indice di popolarità, ora alle stelle, è destinato a scendere.

Non lo dice apertamente il sindaco ma i suoi parlamentari non nascondono la delusione per l’intesa sulle riforme raggiunta ieri. “Si rischia di produrre un effetto politico preciso, ovvero una grande coalizione ad oltranza. Non mi sembrerebbe una mossa particolarmente sensata”, commenta a Formiche.net il senatore Stefano Ceccanti.

Inoltre se domani votare con il “Porcellinum”, frutto dell’accordo tra Pd e Pdl, dovesse regalare al Paese una nuova condizione di ingovernabilità, ne beneficerebbe inevitabilmente Beppe Grillo, proprio l’avversario che Renzi vuole battere. Per questo, ha sempre detto il primo cittadino toscano, sarebbe meglio un’elezione diretta del premier, a doppio turno come quella dei sindaci.

Ma i dissidenti del “Porcellinum” non sono solo i renziani. Come ha spiegato Rosy Bindi, è il Pd stesso a essere in disaccordo con la linea del governo guidato da uno dei suoi massimi esponenti. A partire dal segretario Guglielmo Epifani che ieri ha invitato a fare attenzione al rischio “palude” che deriverebbe da una semplice correzione della legge attuale.

Oggi su Repubblica anche il capogruppo alla Camera Roberto Speranza dice la sua e non è di certo non è la stessa uscita ieri dall’accordo di governo: “Non bastano ritocchi o maquillage. Capisco la necessità di superare il vizio di costituzionalità, ma serve invece una riforma radicale e profonda”. Dubbi espressi anche da Walter Veltroni, Anna Finocchiaro, Roberto Giachetti che è a dir poco infuriato visto che proprio per cambiare la legge elettorale era stato protagonista di uno sciopero della fame durato mesi.

Gli esponenti Pd dell’esecutivo provano a placare gli animi dicendo che non c’è ancora nulla di definitivo ma la direzione del partito, prevista probabilmente per martedì, si preannuncia esplosiva. E la linea ufficiale sulla riforma elettorale che ne uscirà potrebbe essere paradossalmente diversa da quella del governo Letta.

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