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Renzi fa rotta verso sinistra anche in libreria

Roma, 24 luglio. Al termine di una giornata trascorsa fra riunioni dell’Associazione nazionale comuni e incontri con parlamentari a lui vicini, Matteo Renzi entra nella libreria Feltrinelli della Galleria “Alberto Sordi”, a pochi metri da Montecitorio e da Palazzo Chigi. Ne esce con otto volumi in mano. Fra i titoli che spaziano da “Una certa idea di mondo” di Alessandro Baricco a “Love is your resistance” dei Muse, da “Sono contrario alle emozioni” di Diego De Silva a “Non ho peccato abbastanza” antologia di poetesse arabe contemporanee, spiccano “Danni collaterali. Diseguaglianze sociali nell’età globale” del filosofo e sociologo Zygmunt Bauman, e “Chi troppo chi niente” del ricercatore di Politiche sociali all’Università di Oxford Emanuele Ferragina. Documenti fortemente critici verso gli effetti della globalizzazione liberista e nei confronti dei pilastri dell’economia di mercato.

I libri di Bauman e Ferragina

Il saggio scritto dal teorico della “società liquida” post-industriale esplora i mali di una realtà angosciata dal consumismo, in cui gli individui si sono trasformati da produttori a consumatori, vivono in modo frenetico e si adattano alle consuetudini del gruppo per evitare l’esclusione sociale. La disuguaglianza e la sofferenza sono causa e riflesso di tale emarginazione. Frutto degli “effetti collaterali” delle iniziative umane o di eventi catastrofici, essa è destinata ad acuirsi se la politica non se ne preoccuperà. Rovesciando il ragionamento di Adamo Smith sulle virtù della “mano invisibile”, lo studioso polacco vede nella povertà e nell’assenza di dignità il portato distruttivo di una collettività non più guidata da valori morali ma dalla fame esasperata del guadagno e del consumo, che crea focolai di lotte di classe lasciate a se stesse. Le implicazioni delle diseguaglianze, il loro intreccio con la partecipazione sociale e politica e i loro riflessi sulla tenuta dei regimi democratici sono al centro del libro di Ferragina, più volte ospite e opinionista di programmi televisivi come “Servizio pubblico” di Michele Santoro. Bersaglio della sua riflessione è la ricetta dell’austerity e del taglio del debito che si è imposta a livello europeo e italiano. Con il risultato che “a pagare si ritrovano sempre gli stessi, mentre i soliti noti rafforzano i propri privilegi”. Un panorama di crescenti disparità, provocate dal comportamento lobbistico degli ordini professionali, da una spesa pubblica sbilanciata verso il passato pensionistico e incurante del futuro lavorativo dei giovani precari, da un federalismo ingiusto sbandierato come slogan. “Fattori che deprimono l’economia ed esasperano lo scontro sociale”.

La svolta labour del primo cittadino

L’acquisto e la lettura dei due volumi testimoniano un’evidente curiosità intellettuale e politica per una prospettiva quasi inimmaginabile, pensando al sindaco di Firenze che nel nome del liberalismo riformatore di Bill Clinton e Tony Blair e di una visione americana del Partito democratico e della vita pubblica aveva sfidato la nomenclatura del Nazareno. E ricordando la sua corsa nelle primarie del 2012, quando incarnava la rottura nel segno del merito individuale, della libera concorrenza, della riforma dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, della privatizzazione della Rai, della liberalizzazione e privatizzazione dei colossi pubblici, dell’innalzamento dell’età pensionabile e del superamento del dogma della concertazione. Associato da gran parte dell’universo progressista a una “sinistra liberista” subalterna all’egemonia del mercato, Renzi era ritenuto un corpo estraneo rispetto ai filoni fondativi del Pd, un intruso, una “quinta colonna” dell’ideologia di destra pericolosa per l’identità del principale partito riformista del paese. A partire dalla sconfitta contro Pier Luigi Bersani, l’ex fautore della rottamazione del gruppo dirigente democrat ha avviato lentamente ma inesorabilmente una “metamorfosi”. Cambiando la sua piattaforma soprattutto in campo economico-fiscale per orientarsi verso un orizzonte labour. Un laburismo ispirato all’esperienza britannica, segnata dall’innovazione traumatica impressa negli anni del governo Blair e animata dal pragmatismo di Edward Milliband. Ben lontano dall’ortodossia su cui si attardano le forze socialiste e socialdemocratiche dell’Europa continentale, imbevute di statalismo paternalista che il primo cittadino del capoluogo toscano respinge fermamente. Ma, come rivela il documento concepito dal parlamentare del Pd Itzhak Yoram Gutgeld, cervello del suo programma economico, è fuori di dubbio lo spostamento di Renzi verso tematiche più familiari alla base sociale progressista. Soprattutto nel rifiuto delle parole d’ordine del centro-destra sul terreno fiscale con il rilancio dell’abbassamento delle tasse sulle imprese e sui redditi di lavoro medio-bassi anziché sulle proprietà immobiliari. Nella difesa del valore e della professionalità degli insegnanti delle scuole che da sempre rappresentano un solido bacino di consenso per la sinistra. Nel progetto di creare un Welfare capillare e diffuso, “che deve essere allargato e non ridotto”. Nella polemica contro le “spese inutili per acquistare gli F-35”. Nel respingere l’ipotesi di candidare Franco Marini al Quirinale e nell’escludere ogni cedimento a Silvio Berlusconi sul conflitto di interessi e su leggi ad personam per risolverne i problemi giudiziari.

Un approccio spregiudicato per conquistare il Pd

Forte di tali argomenti, Renzi vuole rivolgersi al cuore del “popolo del Pd” e ricercare adesioni tra le anime più inquiete del Nazareno, compresi “i giovani turchi” sempre più insofferenti verso l’attuale dirigenza e nei confronti del governo delle larghe intese. Ecco un punto che potrebbe saldare in un’inedita alleanza orizzonti tanto lontani: l’ostilità alla prosecuzione dell’esperienza dell’esecutivo Letta, ritenuta logorante e nociva per l’identità del Partito democratico e dannosa per le chance di vittoria del sindaco di Firenze. Un tempo Renzi combatteva in solitudine una battaglia contro il Nazareno. Adesso sembra pronto a cementare accordi, a cercare sponde e interlocutori nel partito pur di consolidare la sua immagine. Rivelando uno spirito proteiforme e un’abilità camaleontica insospettabili, Renzi ha “mutato pelle” nei contenuti e cambiato atteggiamento verso gli esponenti democrat. Perdendo lo smalto, la freschezza e l’irriverenza rivoluzionaria che lo ha contraddistinto fino al 2012, ma guadagnandosi la possibilità di riuscire nell’impresa per lui più ardua: conquistare la testa e la pancia del “popolo del Pd”. Per tentare di cambiarlo o per farne il trampolino di lancio della sua ascesa al governo. Così, colui che alla vigilia del voto di febbraio riceveva ripetuti attestati di stima da Berlusconi e veniva demonizzato dalle forze progressiste come “amico del Caimano”, oggi è la figura più temuta dal Cavaliere e la più esorcizzata dal centro-destra.

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