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Vi svelo fatti e misfatti della Lega

Pubblichiamo alcuni stralci del libro di Filippo Astone “La disfatta del Nord” (Longanesi) da pochi giorni nelle librerie

La Lega, insieme ad altri, per vent’anni è stata in posizione politicamente determinante sia nelle regioni del Nord, sia nel Paese intero. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Il Paese si trova in condizioni economicamente peggiori di quando sono arrivati i leghisti. I territori del Nord sono stati governati malissimo. La Lega ha occupato poltrone e posti di potere con una voracità e un’ingordigia superiore a quella di tutti i partiti della Prima Repubblica. I casi di corruzione sono stati numerosi e conclamati. La Lega non ha raggiunto nessuno degli obiettivi che aveva tanto sbandierato (federalismo, riduzione delle tasse, sburocratizzazione, moralizzazione, liberalizzazioni, riduzione della partitocrazia, niente di niente) e anzi, molte volte si è adoperata perché avvenisse il contrario. La Lega, insomma, ha fallito eticamente, politicamente e gestionalmente. Una Caporetto di dimensioni epocali, illustrata con ricchezza di particolari nel libro, che non si limita al piccolo partito bossian-maroniano, ma esamina vari altri problema creati da alcune classi dirigenti del Nord che, oltre ai loro territori, per un ventennio hanno avuto in mano il Paese intero.

Non è colpa solo della crisi

Certo, la recessione economica in atto in tutto il mondo sta accelerando la caduta del Paese nella miseria. Ma il fatto è che l’Italia governata dal Nord (Berlusconi-Bossi) ha sofferto molto di più degli altri Paesi occidentali in recessione. Secondo calcoli svolti da Eurostat, nel 1994, quando il duo Berlusconi-Bossi ha preso in mano il governo italiano per la prima volta, fatto 100 il reddito pro capite medio Ue, quello italiano era a livello 121. Nel 2010 (ultimo anno disponibile per i calcoli), fatto 100 il reddito pro capite medio Ue, quello italiano era a quota 104. Per quanto riguarda il debito pubblico, è passato dai 1134 miliardi di euro del 2001 ai 1900 del 2011. “Nell’ultimo decennio”, spiega l’economista Ronny Mazzocchi, intervistato nel libro “indipendentemente dall’indicatore utilizzato – prodotto interno lordo, pil pro capite, produttività del lavoro, total factor productivity – ci collochiamo agli ultimi posti nei ranking mondiali”. E così, negli anni Duemila, il tasso di risparmio delle famiglie si è abbassato del 5%, e quello di indebitamento è aumentato del 30%.

Secondo l’Istat, il 2011 si è chiuso con ottantottomila occupati in meno nelle aziende con almeno un dipendente. In percentuale, nel 2011 l’occupazione è calata dello 0,7%. Meno della discesa dell’1,5% che si è vista nel 2010, ma comunque sempre di forte crisi si tratta, con ben pochi spiragli all’orizzonte. Particolarmente forte la disoccupazione nell’industria, che secondo Bankitalia ha chiuso il 2011 con un calo degli occupati dell’1%, che si somma al calo del 2,2% registrato nel 2010. Vent’anni di Berluscon-leghismo hanno prodotto un tasso di disoccupazione che, considerando i cassintegrati, viene stimato da alcuni pari al 34% della popolazione attiva. Solo nel quinquennio 2006-2011, il manifatturiero, le fabbriche, sono passate dal 21% al 16% del pil. Tanti altri numeri sono citati nel libro, che è stato scritto con molta attenzione ai fatti, alle cifre.

I tre fallimenti della lega: morale, gestionale e politico

Il fallimento morale della Lega è il più evidente, dimostrato dalle spericolate avventure di Umberto Bossi (condannato in via definitiva per finanziamento illecito ai partiti), Francesco Belsito e altri. Il secondo fallimento della Lega è quello politico: in vent’anni di vita parlamentare e dieci di governo in una posizione di forza, la Lega non ha portato a casa neanche uno degli obiettivi che rappresentano la sua ragion d’essere. Né il federalismo in qualche forma, né la riduzione delle imposte né provvedimenti a favore delle piccole imprese e delle partite iva, né un miglior accesso al credito, né la semplificazione burocratica.

In tante situazioni, come nel caso della finanziaria antifederalista del 2010, la Lega Nord ha agito addirittura all’opposto. A livello locale, per dimostrare come la Lega faccia il contrario di ciò che proclama, basterà citare il caso della sedicente difesa del piccolo commercio e del territorio. Come viene dimostrato nel libro, negli anni di governo leghista in Lombardia e Veneto, il tasso di licenze a supermercati e ipermercati rispetto alla quantità di popolazione ha raggiunto livelli da record italiano ed europeo. Alla faccia dei piccoli commercianti che – ignari – votano per il Carroccio. Per quanto riguarda il territorio, si è toccato anche il record di licenze edilizie e di colate di cemento. Ultimo ma non meno importante, il fallimento gestionale. I politici della Lega hanno governato male molti enti (i risultati della gestione leghista di Malpensa, tanto per fare l’esempio più illustre, sono sotto gli occhi di tutti) hanno praticato il clientelismo, la spartizione partitocratica del potere e delle cadreghe. Tutto ciò, ignorando le esigenze del territorio e dei propri elettori.

Perché la Lega è la quintessenza della casta

Fin qui, forse si potrebbe dire che la Lega è uguale o molto simile agli altri partiti della casta politica che infesta il nostro Paese, e che sembra volerlo condannare a un perenne sottosviluppo. Ma no. Non è così. La Lega è peggio. Perché, pur approfittando di tutti i privilegi che caratterizzano gli abitanti dei Palazzi, pretende di essere un agente esterno al “circolo degli intoccabili”. Ma soprattutto perché i politici della Lega recitano la commedia di starne fuori, catalizzando così i consensi di molti tra gli indignati e gli impoveriti. A questa strumentalizzazione, si aggiunge quella sulla sicurezza e sugli immigrati che è stata, ancora una volta, ripetuta nei recenti tragici fatti di Lampedusa. Consensi utilizzati poi senza scrupoli, per mantenere al potere se stessi e quella congerie politica che ha ridotto il Paese in povertà, provocando l’arrivo di Monti.

I caratteri migliori del Nord? No! I peggiori

Nel 1992, quando il Carroccio è diventato protagonista della politica italiana, il progetto venduto con successo sul mercato elettorale era quello di un movimento risoluto a governare il Paese in nome dei caratteri migliori del Settentrione. Caratteri ritenuti una ricetta per tutta l’Italia e pertanto capaci di trarla d’impiccio dalla crisi in cui – già allora – minacciava di affondare. La Lega si poneva come “il sindacato del Nord”. Umberto Bossi e i suoi accoliti riuscirono addirittura a convincere molti italiani dell’equazione Lega Nord = anima genuina del Settentrione sano e produttivo. Anima capace di governarlo in modo pulito, corretto, efficiente e leale. Non è mai stato vero niente, ma in quel momento l’idea piaceva.

In realtà, fin da subito la Lega ha incarnato il peggio del Nord profondo. Lo spirito del contadino incapace, reso ingordo da secoli di fame e che sogna di ammazzare il padrone per prenderne il posto, non certo per cambiare le cose, questo no, ma solo per poter mangiare di più lui. Così, quando per una fortunata (per loro) piega della storia i leghisti sono arrivati al potere – a Roma e nei tanto sbandierati territori – hanno pensato solo ad arraffare cibo, denaro, cadreghe, visibilità, manifestando una voracità violenta. Si potrebbe dire che la violenza con la quale si sono gettati sulle cadreghe e sui soldi romani è parallela alla violenza degli slogan razzisti. Alla violenza della pratica dei respingimenti in mare di persone in fuga dai loro Stati, e rimandate indietro (con una prassi giudicata illegittima dall’Unione europea) in quegli stessi Paesi d’origine dove hanno poi subito trattamenti disumani. Alla violenza delle camicie verdi, dei proiettili minacciati per i giudici scomodi, delle botte di Mario Borghezio a un bambino marocchino che vendeva accendini in strada a Torino.

La reale natura di Bossi e del gruppo dirigente della Lega è emersa al di là di ogni ragionevole dubbio nel maggio del 2012, quando sono diventati pubblici gli atti di inchiesta della procura di Milano sull’ex segretario amministrativo Francesco Belsito e su Umberto Bossi stesso, entrambi indagati per appropriazione indebita e truffa ai danni dello Stato, con una contestazione di circa 19 milioni di euro. Al di là degli esiti dell’indagine (il profilo penale dei fatti contestati non è semplicissimo da dimostrare. Potrebbe anche essere fondata l’ipotesi per cui i soldi dello Stato, una volta dati al partito, diventano del partito che ne può fare ciò che vuole), gli atti dimostrano come Bossi e i suoi avessero una concezione proprietaria e familistica del partito. I soldi dei contribuenti venivano usati per tutte le necessità e i capricci della famiglia Bossi, come fossero della famiglia Bossi stessa. Non c’era confine tra il partito e la famiglia. E la disinvoltura di questa condotta era tale da avvenire praticamente alla luce del sole. Chiunque frequentava abitualmente la casa leghista ne era al corrente.

Bossi a libro paga anche nel 2013

Il fatto ancora più incredibile è che questo atteggiamento probabilmente ha continuato in qualche modo a sussistere anche dopo che Umberto Bossi è stato costretto – tra le lacrime e la vergogna – a cedere il passo a Roberto Maroni, accontentandosi del ruolo di presidente del partito. A fine maggio 2013, in occasione dell’approvazione del primo bilancio del partito presentato dalla segreteria Maroni, è emerso che alle necessità del presidente e fondatore Umberto Bossi la Lega aveva destinato un appannaggio da 850 mila euro annuali, così divisi: circa 500 mila euro per le spese di segreteria e la cura di Bossi (malattia, assistenti, aiutanti), altri 150 mila euro senza causali particolari e poi 200 mila euro per finanziare la scuola privata della moglie Manuela Marrone. Nonostante questo, dalla primavera 2013 in poi, Bossi ha iniziato a manifestare insofferenza verso il suo successore.

La copertina del libro di Filippo Astone “La disfatta del Nord” (Longanesi)

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