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Che cosa serve all’Italia per agganciare la ripresa. Parla Dominick Salvatore

Il quadro macroeconomico mondiale mostra negli Stati Uniti una crescita insufficiente e nell’Unione Europea una ripresa tardiva”. A crederlo è Dominick Salvatore (nella foto), professore ordinario di Economia alla Fordham University di New York e consulente della Banca Mondiale e del Fmi, intervenuto a Milano a un convegno organizzato da Assiom Forex.

UN MALE ANTICO
E se né Usa né Europa festeggiano una ripresa per il momento flebile o annunciata, per il docente il quadro nella Penisola è davvero a tinte fosche. “In Italia – continua Salvatore, italiano di nascita ma statunitense di formazione – c’è stata una perdita di Pil più pesante rispetto agli altri Paesi periferici: l’inizio del declino nel nostro Paese va ricercato nei primi anni ’90 e la conseguente perdita di competitività ha allontanato nel tempo le multinazionali dall’intento di investire nel Paese. La pressione fiscale è la più alta dell’Unione europea, con un picco del 68% di imposizione totale, e il livello di produttività resta basso, determinando un aumento del costo unitario salariale. Insomma la partecipazione alla supply chain mondiale è una battaglia persa per l’Italia così come la sfida della globalizzazione. Le cose da fare sono molte e l’alleggerimento del cuneo fiscale, così come proposto, è insufficiente anche rispetto a quanto stanno facendo gli altri Paesi Ue sullo stesso tema”.

LA MAPPA DEI PAESI IN AFFANO
La geografia della crisi è molto differenziata: in Olanda, Spagna, Irlanda e Grecia c’è stata una bolla immobiliare, un fattore scatenante che incide una tantum, lasciando inalterato il tessuto economico, e grazie alla svalutazione interna – secondo il modello tedesco – quelle economie sono ripartite.
In Italia e Francia, al contrario, non c’è stata una bolla immobiliare, di conseguenza non c’è la prospettiva di un’uscita e di una ripartenza. I problemi sono strutturali e c’è poca incisività nell’affrontarli.
“Resta per l’italia il nodo della svalutazione interna – continua Salvatore – che è praticamente impossibile da applicare vista la debolezza strutturale del Paese”. Come dire, peggio di così, c’è solo da grattare il fondo del barile.

VERSO BASILEA 3
E delle banche domestiche, che sembrano essere in grado di superare a pieni voti i prossimi Asset quality review dell’Europa, il professore cosa pensa? “Gli stress test – chiosa Salvatore – negli Stati Uniti sono più seri di quelli europei, basti citare il caso dell’Irlanda e di altre  banche europee che, nonostante il superamento di questi esami, hanno poi evidenziato difficoltà. Basilea 3 si rende quindi un passo necessario”.

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