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Franco Bianchi, l’italiano del Michigan che darà un futuro a Poltrona Frau

Dall’Italia all’Italia. Il marchio Poltrona Frau è già in partenza per il Michigan, a metà strada tra Chicago e Detroit, in barba al made in Italy di cui lo stesso Luca Cordero di Montezemolo, che ne era il principale azionista attraverso il fondo Charme, continua a farsi vanto. Ma a Holland le poltrone marchigiane finiranno per essere gestite da un manager nato e cresciuto, anche professionalmente, a Bologna.

UN ITALIANO IN MICHIGAN

Non è per questo che il titolo Frau il giorno della notizia dell’acquisizione ha segnato un balzo in Borsa del 18%. Un movimento tecnico che riguarda le prede di takeover, su cui il mercato scommette aspettandosi che sulla società acquisita il compratore investirà tempo e denaro.
Forse però le origini italiane non sono indifferenti nel percorso che ha portato Franco Bianchi, presidente e ceo di Haworth, fornitore di soluzioni da sempre innovative per arredare gli uffici, a scegliere lo storico marchio delle poltrone italiane di lusso. Perché “essere italiani è un vantaggio: dici che sei italiano e ancora nel mondo questo aggettivo richiama qualità e bellezza”. Forte di questo vantaggio, dal 2011 Bianchi aveva già messo in piedi una partnership con Frau per la distribuzione in Nord America.

OLTRE CUBICOLI E SEDIE

Non solo. Il 27 gennaio scorso, nel suo intervento all’Economic Club di Grand Rapids, la riunione del Gotha americano dell’economia, Bianchi aveva promesso che avrebbe portato la società di Holland ben “oltre cubicoli e sedie”. Lo aveva fatto presentando un progetto d’avanguardia, Blue35, ovvero l’ultima frontiera dell’ufficio: un luogo fisico e virtuale al servizio delle idee di chi lavora. “La manifattura resterà il cuore pulsante di Haworth, ma la ricerca – aveva spiegato – si focalizzerà su design e tecnologia, perché la produzione di oggi non è quella di venti anni fa”. E non sarà la stessa tra vent’anni. Per questo Bianchi di novità ne porta ogni giorno. E Frau è solo l’ultima in ordine di arrivo. Tutto lasciando la testa in West Michigan, insieme a 2600 dei 6000 dipendenti totali. “Cerco di guidare – ha detto ancora – la più piccola Big Corporate del mondo”.

LA STORIA YANKEE DI HAWORTH

Nel 2005 Bianchi, 42enne, era stato scelto per guidare Haworth. Lavorava nel gruppo da 14 anni. “La capacità di avere sempre presenti gli obiettivi, uno stile manageriale preciso e risorse culturali non comuni lo aiuteranno a essere leader di un gruppo globale come il nostro”, così lo aveva incoronato Dick Haworth, presidente del gruppo e figlio del fondatore Gerrard Wendell. La storia degli Haworth richiama l’iconografica dell’intraprendenza coraggiosa all’americana: un papà insegnante alle scuole medie che, nel 1948, per pagare l’università ai figli apre una falegnameria nel box di casa. La famiglia detiene ancora il 100% della società che nel 2013 ha fatturato più di 1,4 miliardi di dollari. “Haworth sta vedendo crescere non solo il suo ruolo di leader del settore, ma sta anche evolvendo verso un nuovo modello di azienda – così aveva detto Bianchi mentre veniva scelto come ceo– sempre più orientata alla soddisfazione del cliente attraverso valori propri quali innovazione e design, sempre nel rispetto, in ogni fase del processo produttivo, delle risorse naturali e dell’ambiente”.

DALLA PROVINCIA BOLOGNESE A HOLLAND, SOLO ANDATA

Bianchi in quella falegnameria ormai diventata una multinazionale ci era entrato nel 1993, quando Haworth aveva acquisito l’Italia Castelli di cui lui era vice direttore generale. Anche la storia di Bianchi è evocativa del modello di riscatto made in Italy: figlio della provincia italiana, papà ferroviere in pensione, mamma bidella, alla Statale di Bologna si laurea in tre anni mentre lavora come ragioniere all’Amaro Montenegro. Dopo essere diventato dottore in Economia, viene assunto in Arthur Andersen. Ma dura poco, tre anni, poi Bianchi capisce che la sua strada è un’altra e fonda con il collega Maurizio Gariglio la società di consulenza Metodo, che si occupa di fusioni e acquisizioni.

DETERMINAZIONE E FORTUNA

Un percorso caratterizzato dalla determinazione, ma anche dal caso di alcuni incontri fortunati. Quasi un paradigma di un “fare rete” ante litteram. Sulla scrivania del consulente Bianchi arriva il dossier di Castelli, un mobiliere con la seconda generazione alla guida litigiosa e in cerca di un acquirente. Il dossier diventa così ingombrante che la Castelli assume sia Bianchi che Gariglio, che nel 1993 finalizzano la vendita alla Haworth, che nel frattempo ha iniziato una campagna acquisti internazionale. Haworth è talmente soddisfatta del lavoro di Bianchi che lo manda a Parigi a contribuire alla organizzazione di tutte le neo-acquisite attività europee. Nel 1997 Bianchi torna in Italia, fino al 2002 quando arriva la proposta giusta: cfo nel quartier generale di Holland.

IL NUOVO CORSO

Era passato poco più di un anno dall’11 settembre 2001. Lo racconta lo stesso Bianchi in un intervento, a fine 2011, al Seidman College of Business: “L’azienda aveva perso rapidamente il 40% del suo fatturato. La domanda a quel punto era come rimodulare il business in un mercato spaventosamente volatile e come continuare a essere profittevoli per i successivi trent’anni? La risposta era in quattro assunti: rimanere privati ma essere professionali; essere locali con sguardo globale; costruire mobili che non fossero solo belli e competitivi ma che risolvessero problemi; ed avere un’execution perfetta”. Slogan dietro cui si nasconde molto impegno e una strategia vincente. Lo spiega Bianchi con la sua cadenza bolognese che nemmeno il perfetto american english riesce a mascherare: “Vi ringrazio per la pazienza di dover ascoltare questo accento italiano, anche se forse non ve ne eravate accorti, mi confondono sempre con un nativo di Holland”.
Lo spirito certo non gli manca, neppure quando racconta il business della “sua azienda”: “Tutti i competitor ci hanno copiato nell’arredamento da ufficio… qualcuno in platea ride, perché sa di cosa parlo. Ma a noi non dispiace: copiateci pure, solo lasciateci qualche dollaro. Ho grande rispetto per i miei competitor”. Tanto da comprare i migliori.

 

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