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Ecco come il Papa ha preso in mano la Cei

Non ha deluso le aspettative, il discorso con cui il Papa ha aperto la Sessantaseiesima Assemblea Generale della Cei, ieri a Roma. Era la prima volta che accadeva, e l’attesa era alta. Francesco aveva già parlato davanti ai vescovi italiani, un anno fa in San Pietro. L’occasione era data dalla Professione di fede in San Pietro, e allora il Pontefice illustrò a braccio le linee guida per la riforma dello Statuto, auspicando una riflessione sul numero delle “tante” diocesi italiane e avviando quel processo di riorientamento secondo le nuove priorità. Tradotto, più attenzione alla periferia e meno alla strenua difesa dei principi non negoziabili, uno dei perni della stagione ruiniana.

IL VESCOVO SECONDO BERGOGLIO

Nel suo intervento, Francesco ha fornito un’idea del vescovo ideale, per venire incontro “a quanti si domandano quali siano le attese del vescovo di Roma sull’episcopato italiano”. Mette in guardia, il Papa, dalle tentazioni “che cercano di oscurare il primato di Dio e del suo Cristo”. Le elenca, una ad una: tiepidezza che scade nella mediocrità, ricerca di un quieto vivere che schiva rinunce e sacrificio, fretta pastorale che porta all’insofferenza. Tentazione, poi, è la “presunzione di chi si illude di poter far conto solamente sulle proprie forze, sull’abbondanza di risorse e di strutture, sulle strategie organizzative che sa mettere in campo”.

“TENTAZIONE E’ ACCOMODARSI NELLA TRISTEZZA”

E ancora, “tentazione è accomodarsi nella tristezza che mentre spegne ogni attesa e creatività, lascia insoddisfatti”. Allontanarsi da Cristo, ha aggiunto Francesco, porta a “toccare con mano soltanto la sterilità delle nostre parole e delle nostre iniziative”. E questo perché “i piani pastorali servono, ma la nostra fiducia è riposta altrove”. La soluzione è una: tornare all’essenzialità della fede, “la sola cosa veramente necessaria”.

IL RICHIAMO ALL’UNITA’

Cita Paolo VI quando ricorda che la “questione vitale per la Chiesa” è il servizio all’unità. Ci torna più volte, Bergoglio, su questo punto. Ribadisce che “la mancanza o la povertà di comunione costituisce lo scandalo più grande, l’eresia che deturpa il volto del Signore e dilania la sua Chiesa”. Nulla, ha osservato il Papa, “giustifica la divisione: meglio cedere, meglio rinunciare piuttosto che lacerare la tunica e scandalizzare il popolo santo di Dio”.

NO ALLA GELOSIA, ALL’INVIDIA, ALLE CORRENTI

Ed è per questo che come pastori “dobbiamo rifuggire da tentazioni che diversamente ci sfigurano”. Esempi? “La gestione personalistica del tempo, le chiacchiere, le mezze verità che diventano bugie, la litania delle lamentele che tradisce intime delusioni, la durezza di chi giudica senza coinvolgersi e il lassismo di quanti accondiscendono senza farsi carico dell’altro”. Tentazioni sono, però, anche “il rodersi della gelosia, l’accecamento indotto dall’invidia, l’ambizione che genera correnti, consorterie e settarismi, il ripiegamento che va a cercare nelle forme del passato le sicurezze perdute, la pretesa di quanti vorrebbero difendere l’unità negando le diversità”. L’antidoto è, a giudizio di Francesco, “l’esperienza ecclesiale”.

EDUCARE I SACERDOTI SCORAGGIATI

Ma è sulla figura del sacerdote che più a lungo s’è soffermato il Papa. Soprattutto, ha parlato di quei sacerdoti “provati dalle esigenze del ministero e scoraggiati dall’impressione dell’esiguità dei risultati”. Si tratta di uomini che vanno educati “a non fermarsi a calcolare entrate e uscite, a verificare se quanto si crede di aver dato corrisponde poi al raccolto”. Questo, ha aggiunto, “più che di bilanci è il tempo della pazienza”. E il pastore, nell’annuncio, sia semplice nello stile di vita, distaccato, povero e misericordioso: “Siate interiormente liberi, per poter essere vicini alla gente, attenti a impararne la lingua, ad accostare ognuno con carità”. Fondamentale è “vivere decentrati rispetto a se stessi, protesi all’incontro, che è poi la strada per ritrovare veramente ciò che siamo”, e cioè “annunciatori della verità di Cristo e della sua misericordia”.

VERITA’ E  MISERICORDIA

E sulla misericordia il Papa ha citato la Caritas in Veritate di Benedetto XVI: “Verità e misericordia, non disgiungiamole. Mai! La carità nella verità è la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera”. Senza la Verità, “l’amore si risolve in una scatola vuota”. Il rischio è che alla fine il cristianesimo venga scambiato per una “riserva di buoni sentimenti, utili per la convivenza sociale, ma marginali”.

FAMIGLIA, DISOCCUPATI, MIGRANTI

Tre sono i luoghi è considerata necessaria la presenza dei vescovi. Innanzitutto la famiglia, oggi “fortemente penalizzata da una cultura che privilegia i diritti individuali e trasmette una logica del provvisorio”. Il dovere del pastore è di “testimoniare la centralità e la bellezza della famiglia”. Si promuova la vita, quella del concepito come quella dell’anziano. Altro spazio dove intervenire è la “sala d’attesa affollata di disoccupati, cassintegrati, precari, dove il dramma di chi non sa come portare a casa il pane si incontra con quello di chi non sa come mandare avanti l’azienda”. Questa, ha sottolineato Bergoglio, “è un’emergenza storica, che interpella la responsabilità sociale di tutti”. Infine, i migranti, che fuggono “dall’intolleranza, dalla persecuzione dalla mancanza di futuro”.

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