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E’ morta la scissione: la scissione è viva!

Il dibattito attorno alla direzione del partito democratico, ormai, anima chiunque: trasmessa quasi in mondovisione, tra radio e televisioni on-line, anche il piccolo commerciante di fiducia sotto casa conosce cosa è successo nella direzione del Pd.
L’organismo, e la discussione generale che dovrebbe svilupparsi, dovrebbe suggerire un dibattito chiuso ai più, ma tra Youdem, i canali di news ‘h24’ e Radio Radicale che l’ha trasmessa integralmente via radio, tutto è ‘open’.
Anzi, #open.
Le parole di Renzi, ormai, si conoscono, lo si è detto in molti modi: linguaggio semplice, poche subordinate e frasi minime, con contorno di metafore comprensibili da chiunque. Così come, del resto, i paragoni.
Il dibattito politico freme attorno alle questioni interne al Pd, forse perché quello politico generale è talmente frivolo che, a volte, sembra inesistente tanto da far sembrare interessante una lotta intestina fra correnti che assomiglia più al tatticismo in stile Risiko che ad altro.
Che poi, chiamarle ‘correnti’ è anche improprio: ormai più non lo sono da quando è passato il tornado-‘Matteo’ che tutto ha uniformato: il partito è tornato ad essere stranamente unito a seguito di un brusco isomorfismo culturale e politico.
Anche il Presidente del Partito Matteo Orfini scuoteva la testa, durante la scorsa direzione, mentre parlava D’Alema che, a colpi di fioretto, andava a toccare i nervi del segretario/Presidente del Consiglio dei Ministri.
Il dibattito attorno al Partito democratico è diventato, ormai, patrimonio comune, percepito dall’elettorato quasi come necessario: Renzi produce una ‘sintesi’ fra le varie correnti (Civati, Gentiloni, Fioroni, Bersani, Letta) così come potrebbe farlo parlando a braccio dai banchi del Governo nelle aule Parlamentari.
Come se le aule diventassero una ‘grande-direzione-del-Pd’ o viceversa.
“Sempre Renzi c’è”, verrebbe da dire.
E, in fondo, potrebbe anche essere così: dopo la lunga intervista rilasciata a Fabio Fazio circa una settimana fa, il famoso messaggio alla Cgil e quello di ritorno dagli Stati Uniti d’America, la ‘sintesi’ è quella del segretario/Presidente del Consiglio dei Ministri. Lui propone, il Parlamento si adegua.
La direzione del Pd, dunque, è sulla bocca di tutti, un organismo interno che fa anche ‘prigionieri’: i dissidenti.
La cosiddetta ‘opposizione interna’ al Partito Democratico, è la rappresentazione del dibattito politico interno al partito: fuochi di paglia alzati per questioni da cavalcare strumentalmente, inconsistente in aula quando si tratta di prendere posizione.
Ma i capi della cosiddetta opposizione interna si dicono ‘leali’ e votano la fiducia ‘alla ditta’, per dirla à la Bersani.
Il nodo cruciale sta qui: è molto più conveniente auto tracciarsi un profilo da opposizione interna senza uscire da un meccanismo, da un sistema, che – comunque – consente una rendita in termini di voti e di garanzia di rielezione. Molti, invece, hanno sostenuto il contrario leggendo la partecipazione di ‘Pippo’ Civati alla manifestazione di Sinistra Ecologia Libertà come un segno: ‘ecco, ecco, c’è la scissione!’.
Ma la scissione è solo uno spettro da agitare e non fa neanche più paura.
E sembrano ormai passati anni luce da quando un gruppo di parlamentari, in completo dissenso con il loro partito (il Psi – Partito Socialista Italiano) ne uscirono per formare un gruppo di ben più modeste dimensioni (il Psiup – Partito Socialista italiano di unità proletaria).
La famosa scissione del gruppo Basso-Vecchietti.
Mi rendo conto che ogni paragone è improprio, specie in questo caso: paragonare Civati a Vecchietti o Basso è simile all’operazione che porta ad affiancare l’aggettivo ‘liberale’ al nome di Berlusconi.
Vale la pena, però, ricordare come nel 1963, in occasione del voto di fiducia al primo governo Moro, che fu il primo ad avere dei ministri del Psi e formato da Psdi e Pri, oltre che alla Dc – ovviamente -, i componenti della corrente dissidente non votarono a favore e furono sospesi dal partito.
Nonostante i tentativi di ricomposizione ad opera del Psi, i dissidenti confermarono la loro scelta di uscita e formarono un’altra cosa.

p.s. tra i senatori dissidenti, a quel tempo, c’era anche un tale Emilio Lussu.

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