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Almeno a Natale non togliamo lo stupore ai bambini

natale

Con mia moglie, siamo tra quei genitori di cui ha parlato ieri in un bellissimo articolo sul Foglio Annalena Benini, che finché abbiamo potuto abbiamo preservato la nostra figlia più grande dall’appendere la verità su Babbo Natale.

Poi, arrivata ormai a nove anni compiuti e soprattutto a motivo del fatto che a scuola iniziavano a prenderla scherzosamente in giro perché ancora credeva alla “favola” di Babbo Natale, mia moglie si è armata di forza e coraggio e le ha detto la verità. Cosa che ovviamente ha scatenato una grandissima delusione in nostra figlia, che ha pianto per un bel po’ e che a fatica siamo riusciti a consolare.

Alla fine, l’ha presa meno peggio di quel che temevamo, e se ciò accaduto è stato anche grazie al fatto che ho raccontato a nostra figlia tutta la verità, ovvero che se per un verso non esiste oggi un Babbo Natale in carne e ossa, ciò non di meno è esistito il personaggio che da lui ha preso il nome.

Approfitto allora per ricordare, anche a beneficio di quei genitori che prima o poi (e dico subito meglio poi che prima, i bambini hanno diritto allo stupore, avranno tempo per crescere) si troveranno anche loro a dover dire la “verità” ai propri figli, e di coloro che si ostinano a considerarla una leggenda, che la figura di Babbo Natale ha origini e significati profondamente cristiani e niente affatto pagani. E, appunto, che affonda le sue radici in un personaggio storico realmente esistito.

Parliamo di San Nicola di Myra, antica città dell’odierna Turchia, più noto come S. Nicola di Bari per il fatto che le reliquie del santo furono traslate a Bari da alcuni pescatori. Lo stesso nome Santa Klaus, il più diffuso a livello planetario, deriva dall’olandese Sinterklaas che a sua volta altro non è se non la deformazione di Sankt Nikolaus, il nome sassone del santo. E anche l’usanza di portare doni ai bambini deriva dalle gesta di San Nicola, ed ha quindi origini cristiane. La tradizione secondo cui il canuto vegliardo, guidando le sue renne, gira per le case recando regali, affonda le sue radici in un fatto raccontato niente meno che da Dante.

Nel canto XX del Purgatorio, il Poeta incontra Ugo Capeto, capostipite della dinastia francese dei Capetingi. Il sovrano evoca un esempio di generosità citando la «larghezza / che fece Niccolao a le pulzelle / per condurre ad onor la giovinezza». Il riferimento è all’episodio in cui San Nicola dona a tre fanciulle, figlie di un padre caduto in miseria, tre borse ripiene di monete d’oro, introducendosi nottetempo nella loro fatiscente dimora. In questo modo, salva le ragazze dalla prostituzione, carriera cui il padre intendeva avviarle per riscattarle dalla povertà. Da questo fatto, nasce l’usanza del dono. Anche qui, un gesto cristiano all’origine di una tradizione che seppur secolarizzata merita comunque di essere conservata. Recuperando magari il senso originario di quel gesto: la cura di Dio per i bisognosi.

E visto che siamo in tema di regali, ne voglio fare uno anch’io, riproducendo qui di seguito una straordinaria – e attualissima – omelia tenuta il 25 dicembre 1978 nella cattedrale di Monaco dall’allora cardinale e futuro pontefice, Joseph Ratzinger. Buon Natale a tutti.

Cari fratelli e sorelle!

Se consideriamo la liturgia del Natale della Chiesa, essa ci appare come un tessuto prezioso composto di molteplici fili: i fili dell’Antico Testamento, principalmente dei Salmi e dei profeti, quelli delle lettere di Paolo ed infine le diverse tonalità di tre evangelisti; Matteo, Luca e Giovanni, formano la vera bitonalità natalizia da cui è costituita la fede nel natale della Chiesa. Se non si tiene conto di ciò, si distrugge l’autentico mistero del Natale. Luca, che fa risalire la sua tradizione alle cose sulle quali Maria ha riflettuto e che ha serbato in sé nella ontemplazione del mistero di Dio, nel suo racconto ci fa conoscere la partecipazione umana e il fervore materno con cui la madre del Signore ha vissuto gli eventi della Notte Santa. Giovanni non prende in considerazione i particolare umani del racconto per far giungere invece lo sguardo fino agli abissi dell’eternità, per farci riconoscere i veri ordini di grandezza dell’evento: la parola si è fatta carne e dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia. Per questo i Concili della Chiesa delle origini si sono sforzati di esprimere con le parole questa cosa grande, inattesa e sempre inconcepibile e indicibile: nel tempo il figlio eterno di Dio è diventato figlio di Maria. Colui che è generato dal Padre nell’eternità è diventato uomo nella storia grazie a Maria. Il vero figlio di Dio è figlio vero dell’uomo. Oggi nella cristianità questi dogmi non contano più molto. Ci sembrano troppo grandi e troppo remoti per poter influenzare la nostra vita. E ignorarli o non prenderli troppo in considerazione, facendo del figlio di Dio più o meno il suo rappresentante, sembra essere quasi una specie di “trasgressione perdonabile” per i cristiani. Si adduce il pretesto che tutti questi concetti sono talmente lontani da noi che non riusciremmo mai a tradurli a parole in modo convincente e in fondo neppure a comprenderli. Inoltre ci siamo fatti un’idea tale della tolleranza e del pluralismo, che credere che la verità si sia effettivamente manifestata sembra essere nientemeno che una violazione della tolleranza. Però, se pensiamo in questo modo, cancelliamo la verità, facciamo dell’uomo un essere a cui è definitivamente precluso il vero e costringiamo noi stessi ed il mondo ad aderire ad un vuote relativismo.
Non riconosciamo quello che di salvifico c’è nel Natale, che esso cioè dà la luce, che si è manifestata e si è rivelata a noi la via, che è veramente via perché è la verità. Se non riconosciamo che Dio si è fatto uomo non possiamo veramente festeggiare e custodire nel nostro cuore il Natale, con la sua gioia grande che si irradia oltre noi stessi. Se questo fatto viene ignorato, molte cose possono funzionare anche a lungo, ma in realtà la Chiesa comincia a spegnersi a partire dal suo cuore. E finirà per essere disprezzata e calpestata dagli uomini, proprio nel momento in cui crederà di essere diventata per essi accettabile. La parola si è fatta carne. Accanto a questa verità presentataci da Giovanni, deve però esserci anche la verità di Maria, che ci è stata rivelata da Luca. Dio si è fatto carne. Questo non è soltanto un evento incommensurabilmente grande e lontano da noi, è qualcosa di molto umano e a noi molto vicino: Dio si è fatto bambino, un bambino che ha bisogno di una madre. È diventato un bambino, una creatura che entra nel mondo piangendo, la cui prima voce è uno strillo che chiede aiuto, il cui primo gesto è rappresentato dalle mani tese in cerca di sicurezza. Dio è diventato un bambino. D’altra parte sentiamo anche dire che queste cose non sono che sentimentalismo, che sarebbe meglio lasciare da parte. Ma il nuovo testamento ha altre idee al riguardo. Per la fede della Bibbia e della Chiesa è importante che Dio abbia voluto essere una simile creatura, dipendente dalla madre, dipendente dall’amore soccorrevole dell’uomo. Dio ha voluto essere una creatura che dipenda dagli uomini, per suscitare in noi l’amore che ci purifica e ci salva. Dio è diventato un bambino, e il bambino è una creatura che dipende dagli altri. Così nell’essere bambino c’è già il tema della ricerca d’asilo, un teme fondamentale del Natale. E quante variazione ha visto questo teme nella storia! Oggi ne sperimentiamo una molto angosciosa: il bambino bussa alle porte del nostro mondo. A ragione deploriamo di continuo il fatto che l’ambiente in cui viviamo sia diventato ostile ai bambini, che rifiuti al bambino lo spazio interiore ed esteriore in cui questi potrebbe realizzare ola propria esistenza nella libertà e nella gioia. Il bambino bussa. Questa ricerca d’asilo va ancora più in profondità. Non esiste soltanto l’ambiente ostile ai bambini, prima di questo c’è anche il fatto che al bambino è chiusa la porta attraverso la quale potrebbe accedere a questo mondo, che si dice non abbia più posto per lui. Il bambino è visto come una specie di pericolo o come incidente da evitare. L’arte di chiudergli la porta in faccia è considerata un portato dell’Illuminismo e di una mentalità libera da pregiudizi. Spesso calpestare la vita che più di tutte è indifesa, quella che ancora non è nata, sembra non essere neppure più una trasgressione veniale, ma soltanto un parametro dell’emancipazione. Nel modo di pensare di questo nostro tempo – ma, se siamo sinceri, in segreto anche nel nostro modo di pensare – il bambino appare come colui che fa concorrenza alla nostra libertà, come colui che fa concorrenza al nostro futuro, che ci porta via il posto. Riempiamo lo spazio della nostra vita di oggetti e prodotti e non riusciamo mai ad averne abbastanza di cose che programmiamo e poi possiamo anche buttare via. Tutt’al più abbiamo posto per un animale che si adatti ai nostri capricci. Ma non abbiamo posto per una nuova libertà, per una nuova volontà che entra nella nostra vita e che non possiamo programmare e governare: per noi sarebbe troppo gravoso. Vogliamo soltanto ciò che si può programmare, il prodotto, le cose che siamo in grado di fare e poi possiamo anche buttare via. Il bambino bussa. Se lo accogliessimo, dovremmo rivedere radicalmente il nostro rapporto con la vita, dovremmo essere disposti a non approfittare di essa soltanto a nostro vantaggio, dovremmo smettere di ritenerla soltanto un’opportunità a ricavare qualcosa da ciò che le circostanze ci offrono. Dovremmo invece viverla come un dono per gli altri. Dovremmo imparare a vedere nel bambino, nella nuova libertà di un altro essere umano che nasce alla vita, non la distruzione della nostra libertà ma un’occasione che le viene offerta, non il concorrente che ci toglie il futuro e lo spazio vitale ma la forza creativa che dà la propria impronta al futuro e lo porta in sé. Possiamo dire di avere a che fare con qualcosa di molto profondo. A seconda del modo in cui in ultima analisi intendiamo l’essere uomini: se dal punto di vista di un terribile egoismo che si sente perennemente minacciato, oppure da quello di una libertà fiduciosa che accoglie e sa accogliere un’altra libertà, perché sa che in fondo l’uomo è sorretto da Dio ed è pertanto chiamato alla comunione dell’amore e della libertà del vivere insieme. Ricerca d’asilo. Nelle ultime settimane abbiamo visto impressionanti dei profughi vietnamiti e siamo anche stati testimoni di uno spaventoso venir meno del sentimento di umanità. Fino ad oggi prestare aiuto ai naufraghi era una delle qualità primarie della natura umana. Nel caso di questi fuggiaschi tale regola non è sembrata essere più valida. Grazie a Dio negli ultimi tempi le cose sono un po’ migliorate. Per fortuna anche gli stati europei, anche il nostro paese, hanno aperto un po’ le loro porte per accogliere questi reietti. E io a questo punto vorrei ringraziare di cuore tutti coloro che si sono impegnati e hanno lottato affinché nel nostro paese le porte si aprissero. Ma con questo il problema non è ancora risolto. Ora che la questione ci riguarda si presenteranno nuove difficoltà. E come i locandieri di Betlemme avevano certamente buoni motivi per dire a quella coppia di coniugi che non c’era più posto per loro, così anche noi troveremo di sicuro motivi plausibili per negarci all’amore. Pensiamo però ad una cosa: nella storia del dopoguerra resterà a gloria del popolo tedesco che un popolo devastato, privo di mezzi, distrutto, abbia accolto milioni di profughi, a volte certo brontolando, ma in fin dei conti, aprendo le loro porte. Avremmo avuto buoni motivi per tirarci indietro, per dire che ogni cosa era distrutta e che noi stessi non avevamo niente. Avessimo spartito il nostro poco, a ciascuno di noi sarebbe rimasto meno di niente. E tuttavia abbiamo detto di sì. E oggi sappiamo che coloro che vedevano nell’altro il rivale che ci avrebbe tolto lo spazio vitale non avevano ragione. Sappiamo che il grande sviluppo economico e la saldezza morale della prima generazione tedesca del dopoguerra furono resi possibili in maniera determinante dalla forza morale, spirituale e umana di coloro che erano giunti nel nostro paese distrutto e che sono stati non dei rivali, ma delle energie per una nuova vita e un nuovo futuro. E conosciamo anche un esempio che è il contrario di questo. Nel Medio Oriente a i profughi della Palestina non è mai stata aperta una porta. Dove la persona è accolta e bene accetta, essa diventa una forza della creatività, della speranza e dell’amore, invece dove essa è respinta produce un’intossicazione della proporzioni devastanti. E vediamo come questo focolaio di veleni non soltanto sconvolga e minacci fino alle radici il Medio Oriente, ma metta in pericolo anche tutto il mondo, poiché il mondo è soltanto uno. Sarebbe una vera infamia se noi che abbiamo potuto accogliere delle persone in una nazione distrutta, bombardata e saccheggiata facendo loro posto, ora nel nostro paese pieno di ricchezza dovessimo dire: “No, non abbiamo più posto!”. Ricerca d’asilo. Si riferisce ad essa anche la colletta natalizia dell’Adveniat promossa dalla Chiesa. I popoli dell’America Latina bussano e ci chiedono di far partecipare anche loro al godimento dei beni di questo mondo, che sono dati per tutti. “Venne nella sua proprietà e i suoi non lo accolsero. A quanti però lo accolsero diede loro il potere di diventare figli di Dio”. In quest’ora chiediamo a Dio che ci apra il cuore, rendiamoci capaci di sentire il suo bussare e di aprire le porte senza paura, accogliamolo, diventando così suoi figli, figli del bambino nel quale questa notte è sorta per il mondo la vera luce. Amen.

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