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Piano Juncker, cosa può fare la Bce

Il piano Juncker, insieme ad altre misure di politica economica e, in particolare, al quantitative easing, è un segno tangibile che in Europa l’aria è cambiata, che ci avviamo a un sostanziale superamento delle politiche di austerità e che l’Eurozona può fare un sostanziale progresso verso l’unione fiscale. Come programma di investimenti, il Piano Juncker può sembrare ancora vago e poco consistente, ma le sue caratteristiche più importanti sono già definite, nonostante esso sia ancora, in gran parte, in fieri.

La prima caratteristica di rilievo del Piano è che esso individua per la prima volta un meccanismo europeo, di natura sovranazionale, per la individuazione e il finanziamento di progetti di investimento pubblici e privati garantiti da istituzioni europee oltre che da stati nazionali. Questo può essere un primo passo per la costruzione di una autorità di politica economica capace di operare in uno spazio fiscale europeo e di raccogliere finanziamenti sulla base del merito di credito dell’Unione Europea. In altre parole, un primo passo verso una unione fiscale europea.

La seconda caratteristica importante è la dimensione del Piano. Si tratta di 21 miliardi circa di “risorse” europee (Commissione e BEI) per tre anni, che dovrebbero servire come base per raccogliere contributi degli stati membri (esenti dalle restrizioni del patto di stabilità) e finanziamenti sui mercati internazionali e nazionali. 21 miliardi di Euro di risorse per tre anni non sono pochi, anche se sembrano pochi se confrontati con il cosiddetto investment gap, che per l’Europa ammonta a circa 600 miliardi). Per dare degli ordini di grandezza, si consideri che la Banca Mondiale ha un capitale versato di soli 14 miliardi di dollari (a fronte di un capitale sottoscritto di 236 miliardi) e che ha prestato e fornito grant per circa 40 miliardi di dollari nel 2014 e che la Banca Europea degli Investimenti (BEI), dopo l’ultimo aumento di capitale di 10 miliardi, ha un capitale versato di circa 21 miliardi di euro e ha prestato per circa 72 miliardi di euro sempre nel 2014. La Banca delle Infrastrutture dei BRICS, lanciata di recente con grandi ambizioni da parte della Cina e dell’India, avrà un capitale versato iniziale di soli 10 miliardi di dollari.

Questa prima provvista di 21 miliardi per finanziare investimenti di per sé non è quindi da disprezzare, sia per le sue dimensioni assolute, sia se si considera la prima fase di sperimentazione (cauta) di un meccanismo di finanziamento che può essere reiterato nel futuro, per aumentarne successivamente le dimensioni (come nel caso degli aumenti di capitale delle banche di sviluppo). La provvista costituisce la dotazione finanziaria che permette di costituire una istituzione, chiamata EFSI (European Fund for Strategic Investments) presso la BEI che diventa il soggetto promotore di investimenti che hanno un valore potenziale molto maggiore della provvista finanziaria iniziale (i 21 miliardi di euro da cui siamo partiti).

Dal punto di vista strettamente finanziario, il fondo può utilizzare la provvista iniziale per generare, attraverso una leva accettabile, capitale di debito attraverso l’emissione di obbligazioni. Vista la natura sovrana della garanzia, si prevede che si possano emettere obbligazioni per circa 60 miliardi di euro. A questi finanziamenti possono aggiungersi i contributi degli stati membri, che potrebbero essere concessi in deroga del patto di stabilità e crescita.

A questo titolo, finora sono stati promessi circa 26 miliardi, anche se non è ancora chiaro se saranno utilizzati per finanziamenti diretti o anch’essi come parte del fondo di garanzia. A ogni modo, anche limitandoci alle risorse pure del fondo, si ipotizza che i finanziamenti ottenuti attraverso le emissioni di obbligazioni europee (60 miliardi di euro) possano a loro volta essere utilizzati come garanzie per finanziamenti privati secondo un rapporto di 1 a 5. Questo significa che gli investitori privati che partecipassero al finanziamento di progetti garantiti dal fondo sarebbero protetti per un sesto dalle perdite potenziali legate a questi progetti.

Questa procedura costituisce una leva finanziaria pura, dello stesso tipo utilizzato, per esempio, dalla International Finance Corporation, una istituzione del gruppo Banca Mondiale, che opera con il settore privato. In aggiunta alla leva finanziaria pura, tuttavia, un impegno finanziario intelligente da parte di una o più istituzioni internazionali che riscuotono la fiducia dei mercati, può mobilitare una quantità maggiore di investimenti privati attraverso meccanismi di leva virtuale, quali il finanziamento in pool, il cofinanziamento, i syndacated loans, i prodotti di risk management, l’assistenza tecnica e altri strumenti che facilitano la formazione, l’aggregazione e la gestione finanziaria degli investimenti e delle partnership pubblico-private.

Una garanzia pari a un sesto del valore dell’investimento può contribuire sensibilmente alla riduzione dei rischi, ma nella situazione attuale di stallo del business climate europeo può non essere abbastanza. Inoltre, c’è bisogno di mobilizzare risorse rapidamente, per rendere il quantitative easing una controparte credibile di una espansione fiscale capace di far ripartire la crescita economica. Per questa ragione molti si attendono che la BCE entri in gioco, fornendo a sua volta delle garanzie capaci di ridurre ulteriormente il prezzo del rischio.

Come potrebbe avvenire questo coinvolgimento? Un modo semplice e diretto potrebbe consistere nell’acquisto, da parte della BCE, di asset backed securities o di altre forme di securitized assets che emergono dal programma finanziato dall’EFSI. Questi assets sarebbero attraenti perché posseggono delle garanzie sovrane (date dall’EFSI e dalla UE o anche dagli stati membri). Per essere accettabili per la BCE essi dovrebbero anche corrispondere a progetti selezionati secondo gli standard più elevati di redditività e di rischio e valutati secondo le best practice internazionali.

Il possibile intervento della BCE si lega a quanto abbiamo detto a proposito delle conseguenze a lungo termine del piano Juncker. Se gli Juncker bonds ( la parola somiglia troppo a junk bonds, ma si pronuncia in modo molto diverso…) sono strumenti finanziari garantiti, di fatto dall’Unione Europea, e se venissero acquistati dalla BCE, direttamente o anche indirettamente, questo fornirebbe uno strumento di raccordo tra politica fiscale e quantitative easing che ancora non c’è . Farebbe diventare il piano Juncker non solo un tentativo di intervento strutturale, ma anche uno strumento congiunturale e una spinta verso l’unione fiscale dell’Eurozona.

Stime credibili collocano l’investment gap europeo a circa 400 miliardi di euro. Si tratta di una riduzione del livello storico degli investimenti rispetto alla attività economica, che in aggregato è ritornata ai livelli pre-crisi. La riduzione è dovuta principalmente alla carenza di capacità di farsi carico dei rischi da parte delle imprese e delle istituzioni finanziarie europee. Questo dipende dalle alte sofferenze bancarie (circa 900 miliardi di Euro secondo le ultime stime del Fondo Monetario Internazionale), dalla incertezza sulle prospettive di crescita di lungo termine e dalla riluttanza degli investitori a impegnare fondi in presenza di barriere istituzionali e alta volatilità. D’altra parte, l’Europa presenta opportunità per progetti potenzialmente molto redditivi nei settori delle infrastrutture strategiche , includendo tra queste i progetti di salvaguardia e valorizzazione dell’ambiente, la digitalizzazione, i trasporti e l’energia, in particolare le interconnessioni e l’efficienza energetica, e lo sviluppo urbano.

Altri settori importanti sono l’educazione, la ricerca e l’innovazione, i progetti sostenibili, e le piccole e medie imprese. Per realizzare investimenti in questi settori, è però necessario progettualizzarli, utilizzando strumenti moderni quali, in particolare, il “bundling”, ossia creando progetti di dimensione sufficiente ad attirare finanziamenti degli investitori istituzionali (i fondi di investimento, i fondi pensione e le compagnie di assicurazione insieme amministrano circa 83.000 miliardi di dollari ), diversificati al loro interno, in modo da ridurre i rischi, e in modo da combinare “opere fredde” con benefici sociali, ma poco redditizie dal punto di vista privato, con “opere calde”, ossia investimenti pubblici che possono generare cash flow attraenti per gli investitori privati.

Questa progettualizzazione non è banale, e non può essere affrontata in modo dilettantesco. La procedure che la riguardano, la sua regolazione e il suo funzionamento, in un certo senso, sono più importanti della stessa realizzazione del progetto. Sia dal punto di vista della costruzione del progetto , sia da quello del suo finanziamento, ha bisogno di sistematicità e competenza.

La valutazione del progetto stesso deve inoltre essere fatta dal punto di vista di tutti gli stakeholder coinvolti: i promotori, coloro che emettono le eventuali obbligazioni di progetto, le banche che le sottoscrivono, gli investitori, i governi e le comunità interessate. Essa deve utilizzare gli strumenti più moderni di valutazione economica e finanziaria, ed essere approfondita, attendibile, controllabile e certificabile, per diventare uno strumento essenziale sia per la selezione dei progetti, sia per la riduzione dei rischi ad essi associati.

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