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La Costituzione, Renzi, Travaglio, Benigni e Parmenide

Per quanto riguarda il sempre caro tema dei transfughi e del salto di carro, la polemica più calda nelle ore del voto è quella, rinfocolata da Aldo Grasso sul Corriere della sera, contro Roberto Benigni: reo di avere prima difeso la Costituzione, con un celebre apologo televisivo che la Rai ha replicato la sera del 2 giugno, e poi in epoca recente dischiuso la possibilità di una revisione della Carta. Grasso fa seguito a Matteo Salvini – non gli farà piacere, ma così è – che su La7 aveva contestato a Benigni di essersi rimangiato la parola per compiacere il governo Rai e quello di Palazzo Chigi e, così, assicurarsi la prosecuzione della collaborazione alla tv di Stato: Benigni non ne ha bisogno, aveva obiettato Enrico Mentana al leader leghista, perché con i suoi soldi potrebbe comprarsi l’intera azienda di viale Mazzini (il senso della replica non è del tutto chiaro, ma passiamo oltre). Nella buriana sui voltagabbana è finito anche Claudio Santamaria, l’attore romano che ha lanciato un inopinato endorsement alla candidata sindaco romana Virginia Raggi: se il presunto “tradimento” di Benigni è costituzionale, quello del protagonista di “Jeeg Robot” (che però ha chiarito di parlare a titolo personale e non del supereroe) è più banalmente politico-ideologico. Santamaria finisce insomma nel novero dei tanti ascritti a sinistra che si stanno spostando verso i 5 stelle.

Cerchiamo di alzare il livello. Se a schierarsi è non un attore bensì un professore? Marco Travaglio ha strigliato i molti docenti e studiosi che compaiono tra i circa 500 firmatari dei due appelli a favore del “sì” al referendum costituzionale (uno definito per le “ragioni”, un altro come “pacato”). “L’importante è che abbiano una cattedra purchessia”, ironizza il direttore del Fatto, “foss’anche di applicazioni tecniche o di educazione fisica”. A dire il vero tra i sottoscrittori compaiono docenti di vaglia disciplinare e accademica ben superiore, ma il punto non è questo: è che i prof di Diritto costituzionale, assicura Travaglio, sono tutti per il “no” (Zagrebelsky, Rodotà, Pace, Carlassare, etc.) e quelli che premono a favore sono semplici membri del “Comitato Tengo Famiglia”, incompetenti a parlare nel merito.

Beh, l’obiezione non è peregrina. A determinare l’influenza di un testimonial dovrebbe essere non la sua generica popolarità ma la competenza nel tema in questione: giusto. Se però applichiamo tale principio, non hanno senso le polemiche sugli incompetentissimi Santamaria e Benigni né, soprattutto, le dichiarazioni di carattere politico continuamente richieste dai giornalisti italiani ad attori, cantanti e pop star. Un filone che ebbe enorme fortuna ai tempi italiani di Berlusconi e statunitensi di Bush ma che anche Renzi e Trump stanno rinvigorendo: il cronista nazionale medio, se può, una battuta “contro” non se la fa scappare e il vip, in genere, non si fa neanche pregare troppo.

Vogliamo dare un taglio netto? Facciamo esprimere su questioni importanti come governo, sindaci, leggi e costituzioni solo chi ne capisce davvero? Con buona pace, peraltro, del fatto che anche gli incompetenti, più o meno noti, in democrazia votano e sono cittadini titolati a dire la loro? D’accordo, atteniamoci solo alla competenza. Quindi evitiamo che, per esempio, parlino di temi scientifici inevitabilmente complessi personaggi che non ne sanno nulla di preciso, come Angelina Jolie che raccomanda le amputazioni preventive se si ha un rischio genetico di cancro a un organo sacrificabile. E diamo, per converso, solo agli scienziati dei vari argomento il diritto di illuminarci: un po’ come nella Repubblica dei filosofi di Platone. Certo, però, dovremmo accertarci anche della titolarità di questi soloni, cosa che in un mondo della conoscenza articolato e complesso come l’attuale non è facile: specialmente nei casi di scienziati juke-box come Umberto Veronesi e Piergiorgio Odifreddi, pronti a esprimersi sugli argomenti più diversi, la presunzione di incompetenza è talvolta legittima.

Tanto per chiudere rimanendo sui professori e sui filosofi, ieri sera Emanuele Severino discettava su Rai scuola di Parmenide e della tesi secondo cui solo l’essere “è”, mentre ciascuna cosa, pur in apparenza esistente, non è “essere” e quindi “non è”. Insomma: se la realtà è composta di infinite cose minute, finisce per ridursi a una illusione (a una “percezione”, va di moda dire adesso). Il problema è che non abbiamo alternative e, dunque, dobbiamo assumere questa illusione percepita per buona nel suo complesso. Allora possiamo anche accettare che un attore o cantante si schieri, che cambi schieramento, che ci consigli come votare. Ma diamo al suo consiglio il peso che ha, cioè nullo.

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