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Tutte le ultime triviali salvinate di Matteo Salvini

Matteo Salvini è riuscito a perdere in pochi giorni il vantaggio politico regalatogli dalla sinistra chic di Capalbio, attestatasi sul terreno scivoloso dell’immigrazione su posizioni leghiste contestando la decisione del prefetto di Grosseto di mandare nella ormai ex “piccola Atene” della Maremma una cinquantina di profughi siriani. Il segretario della Lega ha reagito così scompostamente ad un passaggio del discorso del presidente della Repubblica all’annuale Meeting riminese di Comunione e Liberazione, relativo proprio all’immigrazione, da far perdere le staffe al collega di partito Roberto Maroni, governatore della Lombardia, ex ministro dell’Interno ed ex segretario del Carroccio. Che lo ha sconfessato prendendo le difese del capo dello Stato per le “cose ragionevoli” dette sul problema che ossessiona invece Salvini.

Le “cose ragionevoli” di Sergio Mattarella sono “l’umanità dovuta a chi è perseguitato, l’accoglienza a chi ne ha bisogno e la sicurezza del rispetto delle leggi da parte di chi arriva”, ma anche “severità massima verso chi si approfitta di esseri umani in difficoltà”.

Al solo sentir parlare di “accoglienza”, e della illusione di poter affrontare un fenomeno così epocale come l’immigrazione con i cartelli di “divieto d’ingresso” o “alzando muri”, Salvini ha dato a Mattarella del “clandestino” in un tweet e lo ha accusato di essere “complice di scafisti, sfruttatori e schiavisti”. E questo signore, Salvini, per quanto uscito un po’ malconcio dalle elezioni amministrative di giugno, almeno rispetto ai traguardi che si era proposto, avrebbe ancora l’ambizione di guidare una riedizione del centrodestra, o di come altro si potrà o vorrà chiamare un nuovo cartello dei moderati italiani. Che, per quanto delusi dalle prove date da Silvio Berlusconi dopo la fulminante partenza del 1994, dalla frantumazione di Forza Italia, dalle divisioni della destra e dalla irrealistica prospettiva di un’Assemblea Costituente immaginata da Stefano Parisi già nella primavera prossima, rimangono pur sempre dei moderati. Gente cioè portata a ragionare più con la testa che con la pancia, o con qualcos’altro di peggio.

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Bisognerà ora vedere se la frattura involontariamente riaperta da Mattarella fra Salvini e Maroni –riaperta perché non è la prima volta che i due sostengono cose diverse- avrà sviluppi nella Lega. Dove il malumore verso il segretario cresce, nonostante gli sforzi ch’egli compie di nasconderli o minimizzarli. Un malumore tradottosi in difficoltà sulla strada della convocazione del congresso, pur dovuta per statuto. Anche sulla Conferenza programmatica annunciata a Milano da Stefano Parisi come iniziativa “personale” ma che tutti sanno concordata con Silvio Berlusconi per cercare di aprire una nuova fase di quello che fu il centrodestra, Salvini e Maroni sono divisi: il primo deciso sinora a disertarla e il secondo invece “curioso” di vedere e sentire che cosa ne potrà uscire.

Salvini, si sa, preferisce i suoi raduni, i suoi tweet, le sue ruspe, le sue divise e purtroppo anche i suoi insulti, come sicuramente è quel “clandestino” e quel “complice di scafisti, sfruttatori e schiavisti” gridati contro un presidente della Repubblica che a questo punto potrebbe sentirsi fortunato di non essere stato definito anche mafioso, visto che è nato e cresciuto in Sicilia.

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Non è mancato nel discorso riminese del capo dello Stato un accenno al passaggio fondamentale del referendum costituzionale previsto a fine novembre. Un accenno finalizzato a non esasperare i contrasti naturali in ogni prova referendaria, ma che non per questo debbono sopravvivere al risultato e compromettere l’unità del Paese. Anche la Repubblica –ha opportunamente ricordato Mattarella- nacque settant’anni fa da un referendum assai combattuto.

Se si vuole, si può vedere in questo passaggio dell’intervento di Mattarella non solo un monito ai toni troppo accesi del fronte peraltro assai contradditorio e confuso del no alla riforma costituzionale targata Renzi, ma anche un contributo a quella che viene definita la “spersonalizzazione” del referendum avviata dallo stesso presidente del Consiglio. Che ha riconosciuto pubblicamente l’errore di avere alzato troppo la posta annunciando o minacciando il “ritorno a casa” se sconfitto, ripiegando poi sull’ipotesi di dimettersi solo da presidente del Consiglio e non anche da segretario del partito. Un’ipotesi che fummo i primi su Formiche.net a considerare superabile col rinvio del governo dimissionario davanti alle Camere da parte del capo dello Stato, e che ha preso via via sempre più corpo nel dibattito politico e istituzionale. Lo dimostrano, fra le altre, ripetute interviste recenti del costituzionalista Gianfranco Pasquino. In quel modo Renzi potrebbe salvare la faccia con le dimissioni e Mattarella salvare il governo con una rinnovata fiducia del Parlamento. Sempre che dal referendum uscisse bocciata la riforma. Ma essa potrebbe invece essere confermata, specie se l’affluenza alle urne dovesse risultare vicina o superiore al 60 per cento, secondo le valutazioni degli specialisti.

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Ancora convinto che una bocciatura referendaria della sua riforma equivalga alla “fine politica” di Renzi è invece Angelo Panebianco, che ne ha appena scritto sul Corriere della Sera allo scopo soprattutto di avvertire Silvio Berlusconi, schieratosi sul fronte del no come “l’unico spermatozoo nero in mezzo ai bianchi” di memoria alleniana, che sarebbe anche la fine dei suoi tentativi di riorganizzare il centrodestra prima delle prossime elezioni. Che potrebbero sopraggiungere anticipate rispetto alla scadenza ordinaria del 2018.

L’ex presidente del Consiglio starebbe insomma segando il ramo su cui è seduto con Renzi. E che è minacciato dai grillini, gli unici veri beneficiari di una bocciatura referendaria della riforma. Egli dovrebbe decidersi a chiedersi, imitando Woody Allen, che cosa ci faccia nella compagnia in cui si trova sul fronte del no.

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