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Libia, obiettivi e incognite del piano europeo

Il vertice dei capi di Stato e di governo previsto per il 3 febbraio a Malta potrebbe essere di particolare importanza per mettere un freno al fenomeno migratorio che interessa quasi esclusivamente la Libia e, di conseguenza, l’Italia. I punti principali del piano che sarà discusso a Malta e che sono stati anticipati dal rappresentante per la Politica estera e di sicurezza dell’Ue, Federica Mogherini, sono interessanti sulla carta pur se di non facile attuazione. Anche perché alla fine bisognerà capire chi paga: davvero anche l’Unione o solo l’Italia?

Il punto centrale è quello che prevede un controllo delle coste libiche da parte della guardia costiera di quel Paese, che dunque opererebbe all’interno delle proprie acque territoriali. Ciò significa che ai libici bisognerà fornire i mezzi navali necessari che consentano di fermare i barconi e di riportarli sulle spiagge. Il tutto in collegamento con un centro di coordinamento che comprenda informazioni dall’operazione Sophia (la missione europea Eunavfor Med guidata dall’ammiraglio Enrico Credendino) e da Italia, Malta, Grecia, Cipro, Francia, Spagna e Portogallo. Il piano europeo prevede 200 milioni di finanziamenti per progetti in Libia mentre bisognerà aumentare la cooperazione con Egitto, Tunisia e Algeria per evitare corridoi alternativi. Per il controllo della frontiera sud, attraverso la quale passano i flussi, la Ue intende intensificare la collaborazione con Niger, Mali e Ciad oltre a rafforzare ulteriormente la missione Eucap Sahel operativa ad Agadez. Aiuti per lo sviluppo economico dovrebbero essere forniti anche al Niger settentrionale che oggi vive del contrabbando di esseri umani.

I migranti oggi nei campi libici sono tenuti ai limiti delle condizioni di vivibilità e per questo l’Ue auspica un ruolo maggiore dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni e dell’Unhcr, oltre che ovviamente delle municipalità libiche, per migliorare le condizioni favorendo i ritorni ai paesi di origine di chi non ha diritto all’asilo e fornendo garanzie a chi invece può avere la protezione internazionale.

Difficile non essere d’accordo in linea di principio con quanto esposto da Mogherini, che ha sottolineato “il comune approccio con Italia e Malta”. Il problema è capire, in attesa dei dettagli che emergeranno dal vertice del 3 febbraio, come si attuerà praticamente il blocco dei flussi. Non è un caso che subito dopo le notizie da Bruxelles molti esponenti della Lega Nord, a cominciare da Matteo Salvini, abbiano commentato favorevolmente il riferimento al “blocco navale”. E’ proprio su questo che bisogna intendersi: un blocco navale abbastanza lontano dalla costa, a prescindere che siano acque libiche o internazionali, è tecnicamente impossibile a meno di non prevedere numerosi naufragi. E’ sconcertante che nessuno ricordi mai quanto avvenne il venerdì santo del 1997 tra Puglia e Albania con il “contatto” tra la corvetta Sibilla della Marina militare italiana e l’imbarcazione albanese Kater-i-Rades: un centinaio tra morti e dispersi. Affidare ai libici il blocco significa che l’Ue si volterà dall’altro lato se dovessero usare le maniere forti pur di far vedere come sono bravi a non far partire gli scafisti?

Non è un caso, infatti, che la cosiddetta fase 2-B dell’operazione Sophia, lontana dall’essere attuata, preveda il via libera da parte del governo libico per consentire l’arrivo fin sulle spiagge dei mezzi navali europei (soprattutto italiani): finché si rimane al largo puoi solo salvare chi è in difficoltà rispettando obblighi morali e giuridici. Ma quel via libera non può ancora arrivare vista la guerra fra Tripoli, Bengasi e milizie varie. Non è neanche chiaro, per ora, quali sarebbero i mezzi navali da mettere a disposizione perché, a parte gli annunciati 200 milioni che già sembrano pochini e destinati a progetti in loco, il costo a carico della Difesa italiana è esorbitante. Purtroppo la soluzione dovrà essere innanzitutto politica: Mogherini ha confermato che i mezzi saranno dati al Governo di accordo nazionale, quello riconosciuto dall’Onu e capeggiato da Fayez al-Serraj. Il quale, in un’intervista al Corriere della Sera, insiste sul ruolo dell’Italia, ripete di voler trattare con il generale Khalifa Haftar, uomo forte di Tobruk, e di essere in attesa di un incontro a quattr’occhi con lui al Cairo con la mediazione di Abd al-Fattah al-Sisi. Che qualcosa si muova lo conferma l’incontro tra i ministri degli Esteri tunisino ed egiziano proprio sulla Libia, ma se non ci sarà accordo tra fazioni libiche qualunque proposta europea servirà a poco.

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