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Perché sarà inevitabile la scissione nel Pd

“Matrimoni per amore, matrimoni per forza/ne ho visti di ogni tipo tra gente di ogni sorta”. È l’incipit di una bella canzone di Fabrizio De Andrè. Alla mia veneranda età potrei sostituire la parola “scissioni” a “matrimoni”. Infatti di scissioni “ne ho viste di ogni tipo e tra gente di ogni sorta”: le scissioni socialiste, quelle sindacali, poi, dopo la Caduta del Muro di Berlino sono cominciate quelle del Pci. Per buon gusto non faccio cenno a quelle avvenute nell’ambito del centro destra. I motivi di queste operazioni politiche un tempo erano nobili e riguardavano i grandi valori che hanno interessato e diviso il secolo scorso. Oggi si annuncia una scissione del Pd. Nessuna meraviglia: è da tempo che sono in pratica due partiti in solo contenitore. Ci sarebbero quindi dei motivi più seri per dividersi anziché una data del Congresso.

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Del voto del 4 dicembre è ormai consolidata un’analisi che fa comodo a tutti, ma che è, a mio avviso, errata o almeno a me estranea. Il sillogismo è più o meno il seguente: la riforma costituzionale era valida, ma gli elettori hanno votato contro il Governo e le sue politiche. No. Io ho votato contro la legge Boschi. Se il referendum avesse riguardato il Governo, seppur turandomi il naso, avrei votato a favore. Ma nessuno poteva obbligarmi ad approvare una pessima riforma – che prendeva a calci la legge fondamentale dello Stato – soltanto per salvare Renzi e i suoi amici.

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