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I limiti del populismo e la centralità dei cittadini. L’analisi di Paganini e Morelli

Di Raffaello Morelli e Pietro Paganini

Il dibattito di queste settimane tra diversi noti analisti in tema di populismo e movimenti contro, riscopre il metodo del ragionare politico ma non affronta il fulcro di una terapia: come restituire al cittadino la centralità quale soggetto e oggetto di governo.

Non la affronta perché, pur riconoscendo che il populismo è indefinito, argomenta come se il successo elettorale derivasse dal suo progetto, trascurando il proprio assunto di partenza: che il populismo è un movimento contro. Non per caso. Perché non vuole ammettere che le logiche profonde istituzionali della democrazia liberale non sono il semplice rispetto delle norme ma la verifica continua del loro funzionamento da parte dei cittadini al fine di garantire la migliore libertà dei conviventi. Devono esserci ma anche funzionare.

Ammettendo ciò, il risultato elettorale esprime il rigetto del fallimento dei governi recenti e del loro sistema di potere disattenti ai cittadini. Il 4 marzo ne hanno beneficiato partiti illiberali ma è stato un successo della democrazia liberale che vive del cambiamento. I cittadini possono sbagliarsi, ma l’esperienza dimostra che si correggono meglio e più alla svelta delle elites, per natura più distanti (almeno) dall’effettiva libertà dei cittadini.

Il dibattito equivoca anche sul pluralismo istituzionale. É confronto tra ruoli specifici e non tra aree di spazi riservati. Se il presidente della Repubblica, di solito inappuntabile, compie un errore (non competeva a lui ma al Parlamento non accettare un ministro perché potrebbe provocare l’uscita dall’euro) è fisiologico rilevare la cosa. Se il Presidente Inps snocciola dati sganciati dalla effettiva condizione reale (e, sentendosi organo di governo, parla direttamente ai cittadini), è fisiologico richiamarlo al suo ruolo. Il populismo non c’entra.

Un altro equivoco del dibattito è stato sulla contrarietà del governo Conte alla democrazia rappresentativa. In tal senso il solo atto è l’aggiunta “democrazia diretta” nel nome di un ministero. L’ambiguità c’è ma in sé il rivedere il sistema dei referendum può irrobustire la democrazia rappresentativa collegandola di più ai cittadini. Contrari alla democrazia rappresentativa sono i massimi livelli M5S, i quali ipotizzano di sostituire il voto con un’estrazione o con degli algoritmi (un’utopia da oligarchi). Attenzione però. Il dibattito attribuisce l’utopia al governo perché argomenta come se il governo Conte fosse figlio delle proposte M5S. Ma non è così. É figlio del rigetto e del contratto M5S Lega.

Insomma, oltre al merito quel dibattito ha il difetto di non scegliere la centralità del cittadino per svuotare il populismo. Non percepisce che i passati governi hanno perso ogni credibilità nella gestione pubblica. E che attaccare il governo Conte pregiudizialmente, equivale ad una difesa di quei governi che rende incredibili i difensori (il duo restauratore, Pd e Fi). É assurdo farlo supponendo l’infrastruttura liberale una teoria politica disgiunta dai fatti prodotti. E senza che l’obiettivo e il motore ne sia il cittadino. I liberali sono scettici sugli anatemi e sulle profezie separate dai comportamenti. Il metro sono le proposte tese a mettere i cittadini in condizioni migliori di agire, attenendosi ai risultati. Con questo metro va valutato il governo Conte.

Nel frattempo urge non una generica politica riformista slavata, ma un progetto di riforme liberali imperniate sullo spirito critico del cittadino. É errato richiamare concetti importanti e poi coniugarli fuori del liberalismo. Facendolo, la competenza, da maturazione per meglio rispettare fatti e progetti, diviene un viatico per un’oligarchia irrispettosa del cittadino. Oppure l’istruzione si trasforma da strumento per approfondire il rapporto con il mondo in modalità di dominio egoistico. Oppure la divisione dei poteri pubblici si confonde con l’affidare l’ultima parola politica non ai cittadini ma alle procedure giudiziarie (gli orfani del vecchio potere farebbero decidere il dopo crollo di Genova ai processi e non al governo e al parlamento). Con riforme pensate per il cittadino si riavrà la mentalità liberale, indispensabile per risollevare lo Stato.

É un fatto che i liberali non sono riusciti a bloccare il malgoverno degli anni 2000 che esibiva doti liberali inesistenti. Ed è un fatto che vi sono riusciti i populisti solo contestando. Ora la condizione in cui è stato lasciato il paese esige concretezza progettuale. Vedremo. Intanto i liberali lavorino ad una ripresa della mentalità liberale che sia credibile e coerente, dato che, lo riconosce quello stesso dibattito, si può essere conservatori o liberali, ma non entrambe le cose.

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