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Tra Russia e Ucraina c’è di mezzo il mare. Ecco perché

Di Fabio Caffio

Confermando la sua secolare politica di controllo dei mari adiacenti, la Russia prova a vietare l’accesso dell’Ucraina al Mare di Azov nell’ambito della disputa sulle acque della Crimea.

Nello stesso tempo, Mosca intasca la conclusione di un accordo sulla spartizione del Mar Caspio che le garantisce buone relazioni con l’Iran e la non interferenza dei Paesi esterni al bacino. Benchè fautrice del libero accesso al Mediterraneo per i suoi interessi in Siria , la Russia sceglie di arroccarsi nei propri mari orientali (Mar Nero compreso) beneficiando della non ostilità della Turchia.

Per ora, le mosse russe nel Mare di Azov appaiono ben calibrate. L’Ucraina è determinata a giocare fino alla fine la carta della disputa marittima – che per fortuna non ha assunto una dimensione navale -, ma gli esiti sono incerti.

MARI DI CRIMEA

Dopo la contestata annessione della Crimea del 2014 (ritenuta illegittima alla luce della Risoluzione 68/262 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite), la Russia ha cercato di consolidare il suo possesso anche sugli spazi marittimi adiacenti.

Il Mare di Azov, bacino interno spartito con l’Ucraina mediante accordo del 2003, è così passato quasi interamente sotto controllo russo, compreso lo Stretto di Kerch attraverso cui l’Ucraina reclama il passaggio per accedere al porto di Mariupol.

Kiev ha aperto nel 2016 una disputa con Mosca, deferendo a una Corte arbitrale la decisione su propri diritti alle risorse naturali della zona economica esclusiva – Zee al largo della Crimea, nel Mar Nero e nel Mare di Azov, nonché sull’illegalità (dal punto di vista della libertà di navigazione e della protezione ambientale) dell’iniziativa russa di costruire unilateralmente un ponte nello Stretto di Kerch.

La discussione del merito avverrà nel prossimo anno. Intanto la Russia eccepisce la carenza di giurisdizione del Tribunale, asserendo che il vero oggetto della controversia è l’annessione della Crimea e non l’applicazione della Convenzione del diritto del mare.

REAZIONI INTERNAZIONALI 

Di fronte al divieto russo di approdo in Crimea di navi ucraine, Kiev tenta di alzare il tiro chiedendo che il caso sia discusso dalla prossima Assemblea generale delle Nazioni Unite, in vista dell’applicazione di sanzioni alla Russia. Anche l’Unione europea, riaffermando la sua condanna dell’annessione della penisola, ha di recente inasprito le proprie sanzioni contro la Russia vietando ogni forma di relazioni con la Crimea, incluse le attività di imprese di ricerca di idrocarburi operanti su autorizzazione russa.

Non si conosce la posizione della Turchia quale Stato confinante direttamente interessato. In realtà, Ankara sembra ben disposta verso Mosca, con cui condivide da secoli lo status di potenza egemone del Mar Nero controllando gli Stretti sulla base della Convenzione di Montreux del 1936: l’accordo limita la presenza militare straniera nel bacino e costringe la Nato a tenerne conto ogni volta che vuole svolgervi attività navali.

La Turchia ha inoltre concluso lo scorso anno, con la Russia, un’intesa per la costruzione del gasdotto TurkStream: la condotta sottomarina, che consentirà alla Russia di evitare l’attraversamento dell’Ucraina, è posato in gran parte sulla Zee turca, aggirando le acque della Crimea, sino a raggiungere la Turchia europea.

IL CASO DEL CASPIO 

In parallelo con l’asserzione di diritti sovrani sui mari di Crimea, la Russia ha giocato la partita della spartizione del Mar Caspio riuscendo ad affermarne la natura di mare chiuso. Esso è precluso alle attività militari straniere ed è riservato allo sfruttamento energetico dei Paesi rivieraschi che si impegnano a proteggerne l’ambiente.

Con la Convenzione sullo status legale del Caspio dello scorso 12 agosto, Russia, Iran, Azerbagian, Kazakistan e Turkmenistan hanno definito un assetto condiviso di quello che in passato era stato definito come un lago non soggetto alla regolamentazione del diritto del mare, quanto a spazi marittimi e loro delimitazione.

L’accordo stabilisce in effetti un regime sui generis caratterizzato da un’area comune al di là delle acque territoriali di 15 miglia e di una zona di pesca di 10 miglia. Circa il fondale (notoriamente ricco di idrocarburi), si stabilisce che sia libera la posa di gasdotti e che i confini si definiscano per accordo. Quest’ultima previsione penalizza apparentemente l’Iran che, svantaggiata da lunghezza e conformazione delle coste, reclamava un’area del 20% – pari a quella degli altri Stati, sulla base del principio del condominio indiviso – mentre ora potrebbe ottenerne circa il 13%.

PRAGMATISMO RUSSO

La flessibilità dimostrata dalla Russia nel giocare e concludere la partita del Caspio, vincendo le forti resistenze dell’Iran, dimostra che Mosca sta calcolando attentamente i rischi del confronto marittimo con l’Ucraina.

In effetti le mosse russe appaiono efficaci, anche nel costruire rapidamente un ponte sullo stretto di Kerch che rinsalderà i legami tra Crimea e territorio russo; Kiev gioca invece, sotto la specie dei propri diritti marittimi, la difficile carta della violazione della legalità internazionale chiedendo che sia condannata, sia pur tardivamente, l’annessione della Crimea.

Mosca sa anche che l’accordo del 2003 con l’Ucraina definisce il Mar di Azov come acque storiche, ma non ne fissa i rispettivi confini. La situazione, basata su presupposti di fatto, è quindi fluida: al momento, l’unico principio rilevante appare quello secondo cui la terra domina il mare.

È comunque positivo come sinora non ci sia stato in mare alcun confronto militare tra i due Paesi, anche perché la Mosquito Fleet ucraina è ad oggi inadeguata. Gli Stati Uniti si sono limitati ad ammonire la Russia a non ostacolare le comunicazioni dei mercantili ucraini. Ma nemmeno la Nato è parsa sinora interessata a svolgere attività nelle acque contese a differenza di quanto accade nel Mar Artico: segno, questo, della volontà di non turbare lo status quo.

Articolo tratto da AffarInternazionali

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