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Perché l’Italia (e l’Europa) devono cambiare per sopravvivere ai sovranisti. Parla Magatti

Per sconfiggere il populismo e il sovranismo non servono slogan né grida, ma un progetto a lungo termine che si ponga come obiettivo quello di ricostruire il legame sociale tra le persone. Per farlo, non si può non considerare che la fase politica che stiamo vivendo è a un punto di svolta, globalmente, e per questo si impone un cambiamento non solo a livello italiano ma anche europeo. Il professor Mauro Magatti, sociologo ed economista, docente all’Università del Sacro Cuore di Milano, ha percorso con Formiche.net i punti salienti della lettera pubblicata pochi giorni fa su Repubblica e scritta assieme a Leonardo Becchetti, Marco Bentivogli e Alessandro Rosina dal titolo “Un’alleanza per guidare la nave italia”. Una lettera di proposta che però, almeno per ora, non si trasformerà in un partito politico. “Il mio problema al momento non è di fare un partito politico – spiega Magatti -, cosa che non è nel mio orizzonte. Il mio problema è aiutare il dibattito in Italia, e poi di conseguenza almeno in Europa, a mettere a fuoco che un tempo storico è finito, un assetto capitalistico è finito, e c’è bisogno di costruirne di nuovi”.

Professor Magatti, su Repubblica avete scritto che la nave Italia sta viaggiando nella direzione sbagliata, cosa significa?

Come mostrano i processi internazionali di cui vediamo tracce ormai in tutto il mondo, ci troviamo di fronte gli effetti e le conseguenze di medio-lungo termine della crisi economica del 2008, che ha interrotto alcune dinamiche della fase storica precedente, generando l’affermarsi sul piano della visione politica, culturale ed economica delle posizioni che a vario titolo chiamiamo sovraniste e populiste. Sono delle risposte che hanno forti elementi di problematicità a delle domande che sono vere, domande che derivano da problemi sociali, culturali, che gli strascichi della crisi del 2008 ha lasciato sul terreno. Dentro questo scenario l’Italia ha una sua specificità, il governo che in questo momento regge il Paese interpreta questa linea e, essendo un governo con un seguito pubblico molto grande, nel quadro di una Europa che ha l’aspetto istituzionale che conosciamo, espone l’Italia a diventare l’epicentro di tensioni rintracciabili in tutto il mondo, ma che per il combinarsi di questi fattori rischiano di condensarsi proprio sopra le nostre teste. Mi sembra che il nostri governanti sottovalutino la contingenza storica in cui ci troviamo.

Nella lettera su Repubblica si parla di una “fase onirica” da cui l’Italia deve uscire e si suggeriscono tre piste su cui lavorare. Ci può spiegare di cosa si tratta?

Sinteticamente, le tre piste significano due cose. Il tema di cui abbiamo parlato nel nostro intervento, e di cui si dovrebbe parlare di più, è come ci rimettiamo insieme, come ricostruiamo il legame sociale. La domanda di sicurezza che viene dai cittadini è, appunto, come si ridefinisce un contratto sociale. Ci si può mettere insieme contro qualcuno, oppure ci si può mettere insieme per qualcosa e in relazione a qualcosa. Noi siamo per la seconda soluzione e non per la prima. Il problema resta però la ridefinizione del contratto, del legame, del senso del limite delle cose.

Il secondo punto?

Il secondo punto è che siamo in una stagione in cui non si può più immaginare che la crescita sia prodotta semplicemente dall’aumento dei consumi o dall’aumento delle disponibilità finanziarie, cosa che per tante ragioni non solo non è più possibile ma non è più neanche opportuna. Siamo entrati in una stagione in cui solo se ci si mette insieme per aumentare il valore – e non è solo una dimensione economica ma un dimensione di socialità, di cultura, di educazione, di ambiente -, ecco, solo se si genera valore insieme attraverso il contratto sociale di cui parlavo prima allora si sosterranno i propri consumi e si darà soddisfazione alle persone, ma non sarà più vero l’inverso.

Ossia?

Cioè non è più vero che attraverso la leva finanziaria o semplicemente aumentando i consumi tu generi crescita. In questo senso, c’è un errore di impostazione nell’azione del governo che nelle sue proposte usa categorie molto vecchie. Il discorso che stiamo facendo non è l’austerity, anche quella è un ragionamento che ha a che fare con uno schema vecchio, stiamo dicendo invece che per andare avanti bisogna riscrivere il nostro stare insieme con la capacità di aumentare un valore che non è solo la capacità economica.

Il professor Becchetti su Formiche.net ha parlato di riconquistare il campo della comunicazione. Pensa sia possibile, considerato il livello di comunicazione così esasperato?

Trump e i sovranisti hanno sfruttato i social media in maniera molto abile diventando capaci di canalizzare l’insoddisfazione, la rabbia, il malcontento diffuso come se fossero i rappresentanti del popolo, coloro che meglio sono in grado di capire e dare risposte alle difficoltà del popolo. Esattamente quello che storicamente hanno fatto i populismi e il populismo che abbiamo davanti ha la caratteristica di aver usato i social network come leva comunicativa. Non si tratta di messaggi gridati, si tratta di capire l’operazione che è stata fatta. Anche Renzi in Italia si è affermato “contro”. Nel dibattito pubblico bisogna superare l’idea che c’è qualcuno che difende l’ordine costituito – economico e sociale – e qualcun’altro, sovranisti e populisti, che vogliono cambiarlo. Noi pensiamo che l’ordine socio-economico vada cambiato, quindi siamo contro tante cose che attualmente non funzionano, ma proponiamo una via molto diversa da quella che propongono sovranisti e populisti.

Un sondaggio condotto da Swg sul’opinione che gli italiani hanno dell’Unione europea ha mostrato che malgrado non ci sia più come un tempo il desiderio di uscire dall’euro e dall’Unione, ci sia un forte sentimento di delusione. A cosa pensa sia dovuta questa rottura tra cittadini e Ue?

Si è rotto che l’Unione europea, per come la conosciamo, è nata negli anni ’70 e ’80 quando ci si rese conto che c’erano resistenze politiche molto forti a procedere verso un’integrazione politica maggiore. Allora si pensò che la strada potesse essere quella di integrare di più le economie – che voleva dire armonizzare tutta una serie di strumenti fino ad arrivare ad immaginare la moneta unica – nella prospettiva che questo potesse essere il passaggio necessario per spostarsi poi su piani diversi. Questo disegno si è fermato, abbiamo fatto la moneta unica ma sappiamo che non abbiamo integrato altre dimensioni, da quella politica a quella della sicurezza come della politica estera, e con un’assetto istituzionale embrionale ci siamo imbattuti in una grande crisi come quella del 2008. Quindi io sono tra coloro che pensano che o l’Europa va avanti o l’Europa va indietro. Così non può più stare.

Cosa vuol dire “l’Europa va avanti”?

L’Europa va avanti significa che quel progetto che prevedeva l’integrazione economica come primo passo di tanti altri piani va ripreso e bisogna proporre cos’altro va integrato. Se i Paesi dell’Unione saranno interessati a questi passaggi bene, se no bisognerà prendere atto che il progetto europeo non è maturo per reggere, perché ci sono delle forze in campo in questo momento, non solo forze politiche ma anche forze socio-economiche, che sono molto potenti e che hanno bisogno di un assetto istituzionale diverso da quello attuale.

Nella lettera, in conclusione, si legge: “Ricominciamo da qui. Insieme”. Politicamente queste proposte si concretizzeranno in un soggetto nuovo o resta una piattaforma di dialogo?

Il mio problema al momento non è di fare un partito politico, cosa che non è nel mio orizzonte. Il mio problema è aiutare il dibattito in Italia, e poi di conseguenza almeno in Europa, a mettere a fuoco quello che dicevo prima, cioè un tempo storico è finito, un assetto capitalistico è finito, c’è bisogno di costruirne di nuovi. Esiste una proposta in tutto il mondo che è quella di matrice sovranista-populista molto problematica sotto tanti punti di vista. Bisogna far emergere una proposta che parli ai problemi delle persone, quelle persone che vogliono che qualcuno si metta in mezzo tra la loro condizione e i grandi processi in cui siamo finiti, come la finanza, le migrazioni, l’Unione europea. I cittadini vogliono che qualcuno si metta in mezzo e come ho detto prima questo mettersi in mezzo, che è un ruolo della politica, deve proporre maggiore coesione, un legame sociale in vista del raggiungimento di una maggiore qualità della nostra convivenza comune, invece che rimettersi insieme contro qualcuno e costruendo muri. Per me questa è prima di tutto una questione culturale, poi c’è un piano politico e di organizzazione, ma per quanto mi riguarda non è quello che sto facendo, io sto facendo il mio mestiere.

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