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Patti Lateranensi, la Santa Sede firmò per garantire la libertà. Parla don Regoli

Ricorre oggi il novantesimo anniversario della firma del concordato tra la Santa Sede e lo stato italiano, l’11 febbraio 1929, tra il segretario di stato vaticano Gasparri e l’allora capo del governo italiano Mussolini, e sono numerosi gli eventi organizzati nella capitale e in tutta Italia per celebrare questa data. Formiche.net ne ha parlato con don Roberto Regoli, professore di storia contemporanea della Chiesa e direttore del Dipartimento di storia della Chiesa alla Pontificia Università Gregoriana.

Novant’anni fa i Patti Lateranensi. Qual era il contesto in cui vennero firmati, quali differenti umori e posizioni emergevano?

Sono due i contesti da considerare. Quello remoto, figlio della cosiddetta “Questione romana”, causato dalla presa di Roma nel 1870 che vedeva contrapporsi le due città, la Roma del Quirinale e quella Vaticana. Da quel 20 settembre si è avviato un percorso di rivendicazione di indipendenza da parte del governo pontificio nei confronti di quello italiano, indipendenza che passava per la richiesta di una sovranità territoriale (sempre più ridotta nel tempo).

L’altro?

Il contesto immediato è quello del clima successivo alla Prima Guerra mondiale, che aveva comportato la fine dei grandi Imperi e la rimodulazione della carta geopolitica mondiale. Allo stesso tempo si affermano i cosiddetti partiti di massa, che modificano i rapporti di forza all’interno degli Stati. È proprio in questo tempo e in quello ancora più ravvicinato dei colloqui di pace di Parigi del 1919 che si avviano in quella stessa città trattative sostanziose di pacificazione tra le due Rome, rappresentate da monsignor Bonaventura Cerretti e dal ministro Vittorio Emanuele Orlando, che saltano per opposizione del re Vittorio Emanuele III e per la crisi del governo guidato dallo stesso Orlando. Benito Mussolini erediterà le premesse liberali della soluzione della Questione romana e potrà firmare il trattato con il cardinale Pietro Gasparri, che aveva già seguito le evoluzioni del 1919. Fu un’occasione persa per l’Italia liberale.

Con quali pressioni e forzature si è arrivati all’accordo?

A proposito di pressioni, possiamo dire semplicemente che gli stessi vertici del governo italiano e della Chiesa volevano giungere a conclusione. C’era un clima psicologico risolutivo.

Quali sono stati i lati positivi della stipula, e quali invece quelli negativi?

I lati positivi sono stati tanti. Per entrambi la fine di una ostentata lontananza tra i due soggetti, che non era utile a nessuno dei due a livello internazionale.

Nello specifico, quali furono quelli positivi per la Santa Sede?

Il primo lato positivo riguardò la reale indipendenza ritrovata. Si pensi che solo pochi anni prima, durante la grande guerra del 1914-1918, i rappresentanti diplomatici presso il papa di Paesi in guerra con l’Italia dovettero lasciare Roma perché non gli poteva essere garantita l’incolumità. Senza Trattato del Laterano la rappresentanza presso il papa era messa in dubbio da qualsiasi alterco italiano con qualsiasi altro Paese. Si pensi alla diversità di situazione durante la seconda guerra mondiale: Pio XII, a differenza del suo predecessore, poté ospitare dietro le mura vaticane i rappresentanti diplomatici dei Paesi in guerra con l’Italia, come anche i perseguitati fascisti. Si pensi al caso esemplare di Alcide De Gasperi impiegato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana. I Patti del Laterano hanno dato reale indipendenza al papa; di più, hanno dato la libertà al papa e alla sua Curia di essere attori internazionali più forti.

Mentre invece per l’Italia?

Per l’Italia la stipula fu il sigillo ultimo dell’integrazione piena e istituzionale del cattolicesimo nel processo di unificazione italiana.

E se si mettono a confronto?

Gli elementi di criticità riguardarono più la Chiesa cattolica che lo Stato italiano. Se l’accordo fu tra Santa Sede e Regno d’Italia, la pubblicistica lo fece passare quale accordo tra Chiesa e fascismo. Interpretazione legittima, ma forzata. La storia, infatti, ha fatto vedere che quell’accordo entra a pieno titolo nell’Italia democratica e repubblicana e sarà solo rivisto nel 1984, con gli accordi di Villa Madama.

E non fu l’unico caso di questo tipo…

Infatti lo stesso errore valutativo si commise con il concordato con la Germania di Hitler del 1933. Alcuni lo vollero vedere come una legittimazione della nuova forza politica del nazionalsocialismo. Ma fu ben altro. D’altra parte è l’unico accordo internazionale tedesco che è sopravvissuto allo stesso Hitler. In quest’ultimo caso va ricordata una specificazione della chiave di lettura del Vaticano. Secondo il segretario di Stato vaticano Eugenio Pacelli, la Chiesa aveva bisogno di avere in un trattato garanzie per i suoi diritti e le sue libertà nei regimi totalitari od autoritari (come Italia, Germania, Jugoslavia) e non nei regimi democratici.

Quindi fu una necessità.

La Chiesa dell’epoca usò la stipula di accordi internazionali per garantire la libertà.

I Patti hanno permesso negli anni alla Santa Sede di essere neutrale e allo stesso tempo di accreditarsi come soggetto internazionale, a servizio del bene comune e in maniera obiettiva. Oggi, con la società globale e con il pontificato di Francesco, ancora più di prima?

Più che di essere neutrale le hanno permesso di essere libera. Oggi la diplomazia di papa Francesco segue la linea bilaterale dei precedenti pontificati, ma in più tende a giocare maggiormente sui tavoli multilaterali, come il recente Global Compact di Marrakesh (2018).

Durante la seconda guerra mondiale molti ebrei sono riusciti a rifugiarsi in Vaticano proprio grazie ai patti. Oggi il concordato può essere utile per la stessa ragione, con i rifugiati delle guerre in molti paesi e quindi dei migranti?

Non sono paragonabili le due situazioni. La prima era eccezionale. La seconda sembra permanente. È infatti mai esistito un tempo senza guerre nel mondo? La prima era frutto di persecuzione unica, la seconda include la più ampia dinamica migratoria. La prima riguardò una piccola popolazione romana e laziale, la seconda è mondiale. Non sono per niente paragonabili.

Il giovane Montini non fu molto entusiasta dei patti. Come mai?

Temeva che facessero da supporto al regime fascista. La sua fu una valutazione politica e non di diritto. Ma quegli stessi accordi nelle alterne vicende furono poi di garanzia e meglio di tutela per la preparazione della futura classe dirigente cattolica politica dell’Italia del secondo dopoguerra.

La forma concordataria dei Patti Lateranensi è ancora la più adeguata per il mondo attuale? Si tratta cioè di un dibattito ancora aperto, oppure non ci sono alternative?

Tutti gli accordi sono frutto di contingenza e mutano per altrettante ragioni contingenti. Al momento, a causa della concezione di sovranità e autonomia, non si può pensare ad altra via possibile. Per quanto riguarda il punto specifico del concordato, il discorso rimane aperto. Il punto centrale è l’esigenza di libertà della Chiesa, che si esprime soprattutto nella possibilità di nominare autonomamente agli uffici ecclesiastici. Già un secolo fa, il giovane monsignor Eugenio Pacelli riteneva che anche in un regime separatistico vi possono essere altrettante  garanzie di rispetto che in un regime concordatario. Dipende dalle forme di Stato e dalle culture sottostanti. In ogni caso, negli ultimi decenni gli accordi della Santa Sede con gli Stati sono aumentati in maniera costante. Il genere concordatario non solo non è morto, ma gode di buona salute.

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