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Salvini ha bisogno di Forza Italia, da solo non può dare tutte le risposte. Parla Schifani (FI)

Sono giorni intensissimi per il governo e la maggioranza che lo sostiene. Ieri la tenuta del matrimonio di interesse tra Lega e M5S è stata messa a dura prova da un lato dal voto in Senato sull’autorizzazione a procedere nei confronti di Matteo Salvini, dall’altro dall’arresto di Marcello De Vito, presidente dell’Assemblea capitolina della Giunta Raggi.

In Senato il “no” all’autorizzazione a procedere a carico di Salvini è stato raggiunto solo grazie ai voti di Forza Italia e Fratelli d’Italia. Un’evenienza che allarga le crepe del governo e riporta al centro dell’agenda politica la ricostruzione di un centrodestra unitario.
Di questo, come del memorandum sulla Cina e delle prossime elezioni europee, ne abbiamo parlato con Renato Schifani, senatore di Forza Italia, già presidente del Senato.

Il Senato ha respinto la richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti di Matteo Salvini e i voti di FI e FdI sono stati decisivi. Perché FI ha votato “no”?

Le ragioni sono duplici, da un lato condivido la tesi della Procura di Catania secondo la quale il reato difficilmente sussiste tanto è vero che ne aveva chiesto l’archiviazione. Il dolo generico previsto dall’articolo 605 presuppone la volontà di privare della libertà un cittadino e non mi pare che la volontà del ministro dell’Interno fosse quella di privare della liberta alcuno, bensì, come ha detto lui in Aula, aprire un contenzioso concreto con l’Ue che aveva disatteso gli accordi precedentemente assunti nel corso del vertice di Bruxelles del 30 giugno di farsi carico della ricollocazione degli immigrati. L’Ue sceglie di rinviare alla volontarietà e non all’obbligo.

E dall’altro lato?
Dall’altro lato, ammesso e non concesso che potesse esserci un’ipotesi di reato, la legge prevede l’esimente per i casi in cui la condotta riconducibile a un’ipotesi delittuosa viene posta in essere per gli interessi superiori del Paese.

Quali?

Il primo è evitare il pericolo di infiltrazioni di possibili estremisti islamici. Il secondo è porre l’Ue dinnanzi alle sue responsabilità che le impongono di preferire un approccio più solidale nell’ambito di un campo al quale si era sempre sottratta.

Il voto di oggi può essere un occhiolino strizzato alla Lega in vista di future alleanze?

Noi avevamo già deciso di votare contro l’autorizzazione a procedere in tempi non sospetti perché non ci pieghiamo ai tatticismi di giornata, lo avevamo dichiarato alcune settimane orsono. La coerenza è la nostra forza, ogni volta che il Parlamento è stato chiamato a pronunciarsi su richieste di arresto, come quella per il senatore Azzollini, le abbiamo sempre respinte. Il nostro è stato un voto di coerenza, quello del M5S è stato un voto di convenienza perché se avesse dovuto ascoltare la propria base e dar seguito alla propria matrice giustizialista avrebbe dovuto votare contro.

E perché non l’ha fatto secondo lei?

Perché ha prevalso la ragione della poltrona.

Quella di ieri è stata una giornata difficile per il M5S che ha visto l’arresto di Marcello De Vito, presidente dell’assemblea Capitolina. Il Pd si dice garantista, ma chiede la testa di Virginia Raggi. Qual è la posizione di Forza Italia?

La responsabilità penale è personale, inoltre le azioni di De Vito non riguardano le attività della Giunta e non mi risulta che vi sia un coinvolgimento di Virginia Raggi. Ovvio che questa vicenda mette in cattiva luce il M5S. Il partito dell’onestà mostra di essere affetto da quelle tipologie tipiche della crisi dei partiti. In ogni caso noi siamo stati sempre contrari ad utilizzare le decisioni della magistratura a fini politici.

Il consiglio di Forza Italia alla Lega è sempre quello di rompere con il M5S e tornare nell’alveo del centrodestra?

Io non ho fatto un appello espresso alla Lega, ho solo fatto una valutazione politica e ho ricordato l’episodio della caduta del governo Prodi. All’epoca ero capogruppo in Senato, Prodi è caduto in Senato e io glielo ripetevo sempre. La politica non si inventa. Quando si realizza una coalizione con un programma di governo all’interno del quale militano forze dialetticamente diverse, come quelle del governo Prodi che si muoveva su un arco che andava dalla sinistra estrema di Turigliatto al liberalismo di Dini, non vi è dubbio che è difficile coniugare un’azione di governo compatibile con la gestione dei problemi dello Stato e che abbia una sua logica e una sua coerenza. E il governo Prodi era frutto di un dichiarato accordo preelettorale ma conteneva già in sé il vulnus dell’incompatibilità interna delle forze che lo avevano generato. Oggi lo scenario è ancora più complesso, perché due forze politiche che si erano contrastate e che si muovono su modelli di sviluppo diversi pensano di poter governare il Paese sulla base di accordi contrattuali. Questa è demagogia politica perché le imprevedibilità quotidiane, al di là del dettato del contratto, mettono sempre a dura prova la tenuta del governo e l’affidabilità reciproca delle due componenti.

Perché la Lega dovrebbe scegliere di resuscitare il centrodestra?

Perché Lega e M5S hanno modelli di sviluppo differenti. Da una parte il M5S guarda a uno Stato che eroga fondi e aiuti anche indebitandosi con il silenzioso ma parziale placet dell’Ue che vorrebbe, invece, indebitamenti solo per investimenti. La Lega, invece, guarda, esattamente come noi, a misure espansive che facciano crescere l’economia aiutando l’impresa, aumentando i consumi e dunque arrivando a una riduzione della pressione fiscale.

In tema di strategie economiche, oggi il presidente Conte inizia il ciclo di incontri per la firma del memorandum sulla cosiddetta Via della seta. L’ex ministro Tremonti ha detto che è parte di una strategia della Cina per il ricollocamento geopolitico. Qual è la posizione di Forza Italia?

Noi siamo molto vigili ed attenti. L’appunto che muoviamo è che questa intesa non stia passando dal Parlamento al quale sfugge una piena cognizione di quello che è oggetto della trattativa e degli accordi. Ci auguriamo che siano solo intese generiche ed astratte e che non vi sia nulla di vincolante, altrimenti sarebbe un atto gravissimo. Si muovono due linee di pensiero, da una parte ci siamo noi che poniamo l’attenzione sulla riservatezza dei nostri sistemi di sicurezza e chiediamo che non vanno ceduti come asset alla Cina perché ne andrebbe della sicurezza nazionale. Non dimentichiamo quanto abbiano retto bene i nostri servizi di intelligence nel fronteggiare il terrorismo. Con questo non voglio dire che la Cina abbia qualcosa a che fare con il terrorismo ma nel momento in cui i sistemi di sicurezza vengono posti a conoscenza di soggetti terzi corrono il rischio di essere esposti anche a mondi malavitosi. Fatta questa premessa occorre fare un conto economico tra il saldo attivo delle esportazioni in Cina da parte dell’Italia rispetto a quella che sarà una invasione di prodotti cinesi nei mercati italiani. Il costo della manodopera in Cina è estremamente bassa anche per le scarse garanzie nell’ambito del mondo del lavoro.

Cosa dovrebbe essere messo nero su bianco per far sì che il memorandum con la Cina possa essere davvero utile per il nostro Paese?

Prima di tutto una piena condivisione delle regole europee. Noi siamo in Europa e non è casuale che la Cina abbia deciso di dialogare con noi perché ci vede come l’anello debole dell’Ue, la porta d’ingresso più agevole ai mercati Ue. Questo perché abbiamo perso credibilità a livello internazionale. Il governo è diviso sulla politica internazionale, dalla questione Maduro agli F35, stiamo violando l’accordo internazionale della Tav. La perdita di prestigio internazionale ci espone a delle “scalate” dell’impero cinese che vede in noi il cavallo di Troia attraverso il quale entrare in Ue.

Questo governo ci sta allontanando dal consesso delle potenze europee?

Esatto, è così. Pensi che la nostra ambiguità sulla vicenda Maduro ha impedito all’Europa di assumere una posizione unitaria di condanna. In Parlamento ci è stato impedito di votare una chiara risoluzione di condanna nei confronti del dittatore Maduro.

Alle prossime elezioni europee FI punterà sul riavvicinamento del Paese all’Ue. Questa retorica, però, non fa più breccia nell’elettorato. Come pensa che FI debba declinare questa offerta politica in modo da rispettare il suo sistema valoriale e dall’altra evitare emorragie di voti?

Noi siamo fondatori dell’Ue e siamo nel G7, in Europa ci vogliamo rimanere per cambiarla ma dall’interno e con le sue stesse regole. Occorre fare in modo che ci sia meno tecnocrazia e più solidarietà, meno mondo delle banche e più volontà di coesione e unità tra i popoli. Il limite dell’Ue è stato quello di partire dall’unità della moneta e dagli interessi economici e non dalla solidarietà tra i popoli. I limiti di questa impostazione noi li ritroviamo in tutte le difficoltà vissute dall’Ue nella gestione della questione migratoria.

Nonostante questo FI è saldamente nel Ppe.

Sì ma vogliamo costruire un Ppe diverso, più evoluto e più attento alle esigenze politiche di maggiore coesione tra gli Stati membri a prescindere dalla volontà dei tecnocrati e delle grosse banche. Detto questo essere nell’Ue ci ha solo aiutati.

Secondo lei quale sarà il risultato elettorale alle prossime elezioni europee dei partiti sovranisti?

È una vera incognita. Noi registriamo l’anomalia di Salvini che guarda a quei partiti come alleati che però attuano una politica migratoria di rigida protezione dei propri confini.

Forza Italia compie 25 anni. Fabrizio Cicchitto, autore del libro “Storia di Forza Italia”, per l’elettorato di centro ha immaginato un grande contenitore per chi non si sente rappresentato né dalla Lega né dal Pd a guida Zingaretti. Crede sia questa la naturale evoluzione di Forza Italia?

Io sono convinto che il futuro di questo governo sarà segnato dalle contraddizioni interne e dall’aggravamento della crisi economica. Ove ciò non dovesse accadere occorrerà rivisitare uno spazio che costituisca un contenitore alternativo al fallimento della futura saldatura populista-sovranista di Lega e M5S. Oltre a questo occorre considerare che la nomina di Zingaretti sposta l’asse del Pd a sinistra e tagli i ponti con il Pd renziano.

In questo contenitore che lei immagina ci sarebbe spazio anche per i renziani?

Ancora è presto per dirlo e non mi innamoro di questa ipotesi. Vedo il centro renziano in grande difficoltà, Matteo Renzi aveva il massimo del consenso ma ha gestito a modo suo quell’ingaggio elettorale. Io spero che il centrodestra possa tornare a guidare il Paese anche perché gli italiani sono di centrodestra e la sola destra di Salvini non dà risposte a tutte le domande del nostro elettorato.

Quindi non si rompe con la Lega.

No, io la vedo così.

 

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