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La festa della Liberazione sia anche festa della Riconciliazione

Lo scorso 25 aprile 2019, la delegazione di una forza politica ha deposto un mazzo di fiori al monumento ai caduti di una piccola frazione di Cireggio nel comune di Omegna nel Piemonte orientale: sulla stessa lapide sono ricordati sia i Caduti partigiani che quelli della Repubblica Sociale. Un bel segno di riconciliazione e tenuto anche conto che il primo nome ricordato è proprio quello del comandante partigiano Filippo Maria Beltrami, un patriota cattolico. Un gesto forse piccolo ma molto significativo a 75 anni circa della sconfitta nazista.

Un quotidiano lo ha criticato sottolineando che i caduti per la libertà sono differenti dai caduti che vestivano le uniformi della Repubblica instaurata per poco più di un anno nel Nord. Non sono d’accordo. Il 25 aprile del 1945 avevo appena compiuto tre anni e con la famiglia vivevo in Sicilia, dove ci eravamo trasferiti, ospiti dei nonni paterni, perché a Roma era difficile sopravvivere anche dopo l’arrivo degli anglo-americani nel giugno 1944. Non ho alcuna memoria diretta di ciò che avvenne quel giorno, ma unicamente filtrata da quanto mi è stato detto, dalle letture e dai film. Da quando ho l’età della ragione, tuttavia, ritengo che i morti dell’una e dell’altra parte erano italiani deceduti in combattimento per un’idea (giusta o errata che fosse). I giovani di oggi hanno probabilmente ricordi ancora più sbiaditi dei miei. È sacrosanto ricordare la ricorrenza ma la Festa della Liberazione dovrebbe essere anche Festa della Riconciliazione, se non altro per evitare che, come si è visto quest’anno, dia la stura a nuovi estremismi densi di autoritarismo. In questo contesto, senza minimizzare l’apporto dei partigiani, sarebbe utile che le celebrazioni del 25 aprile venissero estese ai cimiteri disseminati nella Penisola dove giacciono gli anglo-americani e le altre forze che hanno versato il loro sangue per dare il contributo essenziale a liberare l’Italia.

In aprile si tende a dimenticare un’altra data cruciale per la democrazia e la libertà nel nostro Paese: il 18 aprile 1948. È data che ricordo bene: avevo otto anni e la campagna elettorale era stata vivacissima, dividendo non solo l’Italia ma intere famiglie. Giampaolo Pansa, che non può certo essere tacciato di simpatie fasciste, monarchiche o anche solamente conservatrici, ha documentato sia come dopo 25 aprile 1945 la guerra civile fosse continuata, sia come ci fosse anche un tentativo di fare diventare l’Italia una “Repubblica Popolare” asservita a Mosca, utilizzando anche le armi. Vari libri di Luciano Pellicani hanno mostrato, sulla scorta dei testi dei protagonisti, come Stalin e Hitler fossero due volti dello stesso autoritarismo. Storici di vaglio hanno ricordato come, dato che negli accordi di Yalta l’Italia era stata inclusa nell’area di influenza occidentale, ci fossero piani di dividere in due il Paese, instaurando a nord di Roma un Stato comunista e da Roma in giù una Repubblica liberal democratica. L’esito delle elezioni del 18 aprile 1948 ha azzerato questi scenari. A mio avviso, sarebbe appropriato celebrare il 18 aprile unitamente al 25 aprile, come compimento della Liberazione democratica.

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