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Nei parametri della Ue non c’è futuro. L’allarme di Savona (che critica Draghi)

“Rimanendo nell’alveo del rispetto dei coefficienti di Maastricht su debito pubblico e Pil non usciremo fuori dai nostri problemi, questo è il mio messaggio. Potremmo respirare alcuni mesi ma non affronteremo la questione di di fondo. Per questo dovremmo cercare di avere un consenso da parte della nuova commissione, dicendo che l’Italia vuole rispettare il suo bilancio. Se la futura coalizione prendesse in carico questo obiettivo strategico di lungo periodo risulterebbe credibile. Al contrario, le semplici questioni di scambi tra ministeri durano poco”.

Dopo essere stato uno dei protagonisti del nascente governo tra Lega e Movimento 5 stelle solamente un anno fa, è proprio nel momento in cui si sta consumando uno degli atti finali dell’esperienza pentastellata che torna a farsi sentire la voce di Paolo Savona, l’economista sardo a lungo alla Banca d’Italia e ora presidente della Consob, indicato per alcuni giorni del maggio 2018 come trait-d’union di grillini e leghisti al punto da essere immaginato seduto a Palazzo Chigi, e che trovò tuttavia lo stop del Presidente della Repubblica, facendo imbizzarrire per alcuni giorni grillini e leghisti insieme. E in qualche modo cementando, nelle fasi iniziali, l’idillio delle due compagini di governo.

Lo ha fatto parlando proprio di uno dei temi a lui più congeniali, il rapporto problematico del nostro Paese con l’Unione europea, dal palco del Meeting di Rimini di Comunione e liberazione, giunto quest’anno alla sua quarantesima edizione, e che proprio per via della crisi di governo che si sta consumando in queste ore si è visto sottrarre la presenza di molti personaggi istituzionali invitati. L’occasione è il convegno dal titolo “Europa, problema o opportunità per l’Italia?”, moderato dal giornalista e sinologo Francesco Sisci e intervallato dagli interventi del Presidente della Fondazione per la Sussidiarietà Giorgio Vittadini.

Savona ha parlato così alle diverse forze politiche, impegnate in queste ore a sbrogliare il nodo della matassa di governo, sussurrando di una “possibilità tecnica nascente di un accordo serio tra Italia e Europa, con la garanzia irreversibile che non vogliamo uscire dall’Europa”, per mettere in campo quelle strategie di raddrizzamento delle storture che, a suo avviso, hanno impedito la ripartenza italiana. “Se noi impegniamo energie a combattere gli aiuti di stato, e mesi a discutere sullo 0,04 per cento di deficit pubblico, non ne usciremo mai fuori”, è l’opinione dell’economista. “Il problema è correggere gli accordi europei per aiutare i paesi a uscire dalle loro difficoltà, e non accrescergliele. E la soluzione richiede l’emersione di leader con programmi nuovi, con l’obiettivo di riprogrammare integralmente il bilancio dello Stato”, è un’altro dei passaggi salienti dell’intervento.

L’analisi di Savona infatti, tra i tanti nodi toccati, si è soffermata sull’idea che “se per dare assistenza aggiuntiva riduco gli investimenti, sto peggiorando le condizioni di crescita e di occupazione”, a differenza di quanto accaduto per Stati Uniti e Germania che “sono usciti subito dalla crisi perché avevano fatto, con ricette keynesiane, maggiori investimenti soprattutto in infrastrutture”. Mentre “l’Italia si è dedicata a fornire assistenza tagliando gli investimenti pubblici, spegnendo cioè uno dei due motori della crescita italiana. Per una serie di ragioni, anche ideologiche, come sul tema della Tav”.

Tuttavia, per l’economista gli italiani possono dormire sonni tranquilli, per la semplice ragione che “l’Europa e tutto il mondo occidentale ha interesse che l’Italia resti in Europa e non entri in crisi”. “Finora si è cercato di aiutare l’Italia con una negoziazione che non risolve i problemi, mentre la soluzione sarebbe creare uno strumento di debito europeo, che non è l’euro bond ma un’attività sicura che fermi in Europa il deflusso di fondi verso gli Stati Uniti, in particolare nei treasury bond. E dando il ricavato a paesi come l’Italia, che per un paio d’anni non emetterebbe nuove obbligazioni, e interrompendo le pressioni sullo spread italiano, che potrebbe ridursi fino ad azzerarsi», spiega Savona. Precisando però che «l’Italia deve presentare un programma convincente di rielaborazione del suo bilancio, risparmiando miliardi da reinvestire in infrastrutture”.

Per quanto riguarda la sua esperienza personale di adesione all’esecutivo guidato da Giuseppe Conte sotto le ali della coppia di vice-premier Di Maio e Salvini, invece, Savona ha motivato le sue ragioni fin dalle prime parole del suo intervento, quasi a voler mettere bene in fila fin dal principio i termini della questinoe. “Ho partecipato a questo governo per due motivi: uno rispecchia il mio ruolo di cittadino cosciente, e l’altra quello di tecnico che mi sono ritagliato nella mia carriera”, ha chiarito l’economista. “Avevo visto con simpatia che Lega e 5Stelle tentassero per l’ennesima volta in Italia un esperimento di convivenza, tra la parte di società che chiede assistenza e quella produttiva che si fa carico di provvedere all’interesse di tutti. Vi rivedevo l’esperimento di Roosevelt che mise insieme schiavisti e mondo produttivo, un’occasione importante dopo l’unità d’Italia. Invece le due parti hanno ripreso a dividersi: i produttori hanno ripreso a difendere sé stessi e i consumatori assistiti lottano per l’assistenza. Il sistema si è spaccato su questi due elementi che sono puramente politici, di socialità”.

Un punto, quello del divario tra mondo produttivo e settori sociali bisognosi di assistenza, che ricorre più volte nelle considerazioni dell’economista. Partito però da una puntuta analisi storica di quelli che, a suo avviso, sono stati gli errori commessi dall’Unione europea all’epoca dei Trattati di Maastricht firmati da colui che definisce come il suo più grande maestro, Guido Carli. E a cui a suo avviso va posto rimedio al più presto.

“Da tecnico ritengo che l’Europa offra molte opportunità ma crei anche molti problemi”, spiega infatti Savona. “Specialmente nella sua incompletezza, ad esempio nell’idea di fare una banca centrale che non ha il potere di intervenire contro la speculazione nei limiti che la speculazione impone. E non come ha fatto Draghi, con dimensioni fissate e sottoposte a regola”. Tutto ciò per Savona sta alla base al fatto che “allo scoppio della crisi internazionale, l’Europa era impreparata. Draghi fece il QE solo nel 2012, quando già centinaia di imprese italiane erano saltate. Questa è la mia critica: l’Europa era impreparata. Non significa essere contro o non riconoscere l’importanza della moneta comune e dei vantaggi che porta. Ma la devi dotare di tutti gli strumenti, e questi non sono stati dati”.

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