Il rapporto tra Andreotti e Wojtyla attraversa ventisette anni di storia nei quali è cambiato il mondo, con una velocità e una intensità forse senza precedenti. Dall’ottobre del 1978 (che fu definito l’annus horribilis) al 2005, anno della morte di Giovanni Paolo II, si sono consumati processi storici che potrebbero riempire un secolo: la fine dei regimi comunisti nell’Est Europa, la nascita dell’Unione Europea, l’attacco alle Torri gemelle, le tempeste finanziarie internazionali, la globalizzazione, la rivoluzione del web.
L’elezione di Giovanni Paolo II, il 16 ottobre 1978, aveva sorpreso anche Giulio Andreotti, allora presidente del Consiglio italiano. Non tanto perché il conclave aveva scelto un papa straniero dopo 455 anni, quanto perché, per la prima volta, il papa era più giovane di lui e soprattutto perché era salito al Soglio pontificio un cardinale che Andreotti non conosceva personalmente. L’unico contatto era stato l’aver pubblicato sulla rivista Concretezza, di cui era direttore, l’intervento al Sinodo dell’allora arcivescovo di Cracovia. Eppure tra i due si stabilisce subito un rapporto saldissimo, sia personale che di collaborazione tra le due sponde del Tevere.
La prima cosa che colpì Andreotti di Wojtyla erano le origini umili, come quelle di Roncalli e Luciani, l’aver perso presto i genitori, il suo essere seminarista clandestino e al contempo operaio della Solvay, per sfuggire alla deportazione durante l’occupazione nazista della Polonia. Sarà proprio la Polonia con il viaggio del papa del 1979 a cementare tra i due un rapporto di fiducia e amicizia: “Andreotti ascoltava la Santa Sede e la Santa Sede ascoltava lui”, scrisse il cardinale Ersilio Tonini. Non fu sempre così, ma la fiducia riposta in Andreotti, anche in casi di una certa delicatezza, come impedire la pubblicazione delle fotografie del papa in piscina, era di certo grande. E non venne meno neanche quando Andreotti dovette affrontare dieci anni di bufera giudiziaria: Wojtyla non credeva alle accuse contro Andreotti, ed era lo stesso papa che nel giugno del 1993 aveva lanciato un durissimo anatema contro la mafia, dalla Valle dei Templi in Sicilia.
Nei dieci anni del processo confermò la sua solidarietà ad Andreotti sia in privato che pubblicamente, incurante delle eventuali polemiche: lo chiamò a sé in Piazza San Pietro il giorno della beatificazione di padre Pio nel 1999, gli fece presiedere il Giubileo dei parlamentari in Vaticano nel 2000, approvò la laurea honoris causa che la Lateranense assegnò ad Andreotti nel 2004. Dall’altra parte, in una lettera privata a Giovanni Paolo II del 30 ottobre 2003, Andreotti riassume così gli elementi fondamentali che lo sostennero mentre affrontava i processi: “Debbo a Vostra Santità e a Madre Teresa (che venne nel mio studio e mi disse: ‘Sarà lunga, ma non abbia preoccupazioni’) se ho resistito”. L’ammirazione incondizionata per Madre Teresa di Calcutta è, infatti, un altro punto che unisce i due.
E per quanto riguarda il rapporto di Giovanni Paolo II con la politica italiana, va ricordata l’emozione con la quale Andreotti partecipò alla visita di papa Wojtyla a Montecitorio nel 2002: “Sono giorni in cui la gioia di vivere è più intensa – scrisse l’anziano senatore a vita che aveva fatto parte del Parlamento fin dalla Costituente -. Difficilmente se ne avrà un altro come il 14 novembre 2002”.