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Gioie e dolori del Recovery Fund

Oggi inizia il Consiglio europeo con al centro il futuro Recovery Fund, unitamente agli altri strumenti che la UE sta mettendo a disposizione della ripresa post pandemia. Se ne parla tanto e vengono snocciolati come in un rosario, senza però che si faccia chiarezza perché forse nessuno ha ancora detto chiaramente quanto, cosa, come e con quali condizioni. Proviamoci.

Iniziamo da quelli di cui si parla da più tempo, come il Sure, la Cassa integrazione a livello comunitario e i fondi Bei, ovvero fondi per finanziare i progetti di investimento delle imprese. Si tratta di fondi a leva (si mettono soldi a garanzia di emissioni obbligazionarie) e tali garanzie sono sempre soldi che aumentano il debito. Per ottenere un massimo di 20 miliardi per il Sure e di altri 20 per i fondi Bei, bisogna mettere tra gli 8 e i 10 miliardi di garanzie.

Una partita più complessa è quella del Recovery Fund o Next Generation Ue Anche qui, per quanto ci sia una parte a fondo perduto, non si tratta della manna che cade dal cielo, ma si tratta sempre di fondi a leva. In questo caso, si fa leva su una parte del bilancio Ue anche se ancora non è chiaro su cosa, perché per fare leva bisognerebbe avere capacità fiscale. In breve, la Ue dovrebbe avere delle tasse proprie che, in realtà, non ci sono perché la Ue ad oggi si finanzia richiedendo ogni anno ai Paesi membri l’1% del proprio Pil (nel nostro caso 18 miliardi di all’anno), più una quota dello 0,3% dell’Iva, e gli eventuali dazi doganali dei Paesi terzi.

Dunque per fare leva, la UE dovrebbe avere “proprie tasse”, con una piattaforma anche parziale di unione fiscale che alcuni Paesi “furbetti” non vogliono avere. Quello che ancora non si è capito bene è su cosa sia basata la leva. La proposta che va al vertice di oggi conferma l’ammontare complessivo (750 miliardi) ipotizzato dalla Commissione Ue e la ripartizione tra contributi a fondo perduto (500 mld) e prestiti (250 mld). Il Bilancio UE 2021-2027 dovrebbe essere di 1.074 mld di €.

All’Italia dovrebbero arrivare 172,74 mld di cui 81,8 a fondo perduto e 90,9 mld di prestiti con una percentuale del 9% nel 2021 e del 22% nel 2022, salvo anticipi o prestiti ponte. Quindi, se tutto rimane così, il primo anno versiamo 18 miliardi e ne riceviamo 15,5 di ritorno. E questo significa che dobbiamo stare molto attenti a come li spendiamo. Senza poi dimenticare che, al di là delle cifre complessive, i sottostanti sono un insieme di fondi e strumenti che hanno tutti una loro specificità. In altri termini, non si possono allocare tutti dove ritiene più utile il Paese beneficiario.

Vediamoli uno per uno, nella proposta in discussione. Il primo è il Recovery and Resilience Facility. È il più importante e vale poco più del 60% del totale, 560 mld di cui 310 di sussidi e 250 di prestiti. Al nostro Paese dovrebbero arrivare poco meno di 64 mld di contributi a fondo perduto che vanno investiti sulla base del Piano Nazionale delle Riforme recentemente presentato. Il secondo fondo è il React-Eu che deve aiutare la ripartenza dei Paesi più colpiti dalla pandemia ed è dotato di 50 miliardi di sovvenzioni che sembra vadano ad aggiungersi ai normali fondi di coesione.

Gli altri strumenti hanno dimensioni più piccole e vanno dal fondo Horizon Europe (13,5 mld aggiuntivi per la ricerca), all’InvestEu (30,3 miliardi aggiuntivi per gli investimenti del vecchio Piano Juncker), al Solvency Support Instrument (26 mld di liquidità per sostenere le aziende in crisi), al Fondo agricolo per lo sviluppo rurale (15 mld) e al Just Transition Fund  (30 miliardi) che vogliono sostenere territori e azioni per lo sviluppo green e la transizione ecologica, al RescuEu (2 mld per la protezione civile) e allo Eu4Healt (circa 8 mld per il rilancio della sanità UE). Ed infine, circa 16 mld per un non meglio precisato programma di azione esterna.

Come dire: se dovevamo fare in fretta, siamo nelle mani di Dio…

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