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Perché noi progressisti rimaniamo alternativi al M5S. Parla Scalfarotto (Iv)

Continua il dibattito sul rapporto tra la sinistra italiana e il Movimento 5 Stelle. Tra quelli che non vogliono morir grillini c’è Ivan Scalfarotto, deputato di Italia Viva e sottosegretario agli Esteri con delega per le politiche commerciali e i dazi.

Scalfarotto, il governo Conte tra qualche settimana compie un anno. Il Movimento 5 Stelle sta cannibalizzando l’agenda della sinistra italiana?

L’alleanza di governo attuale è una sorta di stato di forza maggiore. Abbiamo avuto un momento nel quale Matteo Salvini ha chiesto i pieni poteri e tentato di prendere in mano il governo del Paese. Per questa ragione abbiamo temporaneamente messo da parte le distanze con il Movimento 5 Stelle — assolute dal mio punto di vista — dando vita a un governo di emergenza.

Che tipo di emergenza?

Salvini un anno fa aveva deciso di rovesciare il governo per chiedere agli italiani poteri eccezionali. Questo gli avrebbe consentito per esempio di eleggere il nuovo presidente della Repubblica e di mettere in piedi un nuovo governo sovranista, antieuropeista e con idee pericolose in economia. Un progetto che è stato sventato grazie all’intuizione di Matteo Renzi.

Oggi il saldo è positivo o negativo?

È stata una buona idea. Penso, per esempio, sia stato meglio mandare Enzo Amendola a Bruxelles piuttosto che Paolo Savona.

Lei, candidato in Puglia contro il Movimento 5 Stelle, non è in difficoltà?

Mi sento perfettamente a mio agio. Le mie idee e quelle della candidata del Movimento 5 Stelle (Antonella Laricchia, ndr) sono assolutamente incompatibili.

Realtà locale e realtà nazionale possono dunque viaggiare in direzioni diverse, praticamente opposte?

Nella Prima repubblica c’erano grandi città governate dalla sinistra, socialisti e comunisti, mentre a Roma i socialisti erano al potere con i democristiani. Realtà locale e realtà nazionale non vanno confuse. Il problema è diverso in questo caso.

Quale?

Ho sempre pensato che il patto con il Movimento 5 stelle sia una questione contingente e non un’alleanza strategica. E per quanto mi riguarda non ho mai considerato l’avvicinamento al Movimento 5 Stelle un approdo a lungo termine della mia attività politica. Invece, un pezzo del Partito democratico, penso alle parole di Bettini ma anche a quelle di Franceschini per esempio, considera che così debba essere. Secondo me però non esiste un populismo buono e un populismo cattivo. Esiste il populismo, a cui il mondo progressista è alternativo.

I pentastellati sono ancora populisti per lei?

Assolutamente sì.

Molti nel Partito democratico sono convinti però che l’esperienza di governo, in particolare quella del governo Conte II, abbia cambiato il Movimento 5 Stelle.

È uno dei motivi per cui non sono più nel Partito democratico. Il Movimento 5 Stelle, trascinandosi spessissimo dietro il Partito democratico, è sempre quello che combatte contro la prescrizione, che non vuole il Mes, che ha pericolose virate a destra per cui non si riescono a modificare i decreti Salvini, che in politica estera ha flessioni verso il Venezuela e la Cina.

Per cacciare un populista, la sinistra si è alleata con l’altro populista, con cui eleggerà il prossimo presidente della Repubblica?

Questa legislatura durerà fino al 2023. Il governo vedremo…

Che cosa?

Fino a quando avrà buone idee, e lo vedremo soprattutto sul banco di prova del Next Generation Eu, non ci sarà nessuna ragione per cui cada. Ma penso saranno queste Camere a eleggere il prossimo presidente della Repubblica.

Parliamo di politica estera. Prima ha citato Venezuela e Cina. Partiamo dalla prima. Anche qui ci sono differenze con il Movimento 5 Stelle?

Non possiamo dimenticare che con il precedente governo siamo stati, nonostante il nostro legame fortissimo con la comunità italiana in Venezuela, quelli che hanno impedito che il presidente Juan Guaidó venisse riconosciuto dall’Unione europea. Inoltre, abbiamo seguito questa dottrina della non ingerenza negli affari interni di altri Paesi in cui non mi ritrovo affatto e che rappresenta qualcosa di nuovo: gli Stati occidentali hanno sempre considerato che quando ci sono i diritti umani in ballo questo principio non vale più.

Parliamo di Cina. E non possiamo non iniziare dalla firma del Memorandum d’intesa sulla Via della Seta nell’anno scorso.

Credo sia stato un errore marchiano, probabilmente uno dei peggiori che l’Italia abbia commesso in politica estera nel secondo dopoguerra. Una delle cose più sbagliate, scriteriate, priva di logica e gratuite mai fatte dal nostro Paese.

E come se lo spiega?

È stata probabilmente una sbandata di un governo molto inesperto. Quel memorandum non ha portato alcun vantaggio commerciale con la Cina. Ma neanche politico, né con gli alleati né con i cinesi.

Neppure con Pechino?

No, perché ci ha privati di quel potere negoziale che si ha soltanto quando si negozia con efficacia. Dare alla Cina tutto ciò che ci chiedeva senza ottenere nulla in cambio ci ha indeboliti. Non capisco che cosa quel Memorandum abbia portato in più: i dati dell’anno successivo alla firma vedevano le nostre importazioni dalla Cina salire e le nostre esportazioni verso la Cina scendere. La nostra bilancia commerciale, prima di questa crisi, era addirittura peggiorata. E pensare che pochi giorni dopo la nostra firma, il presidente francese Emmanuel Macron ha venduto alla Cina 300 Airbus. Il tutto senza firmare alcun Memorandum.

Di che salute gode quell’intesa?

C’è e bisognerebbe utilizzarla meglio. È giusto che l’Italia abbia un rapporto di grande profondità e collaborazione con la Cina. Ma senza confondere alleati storici e possibili partner commerciali: quella firma ci ha dato un marchio di inaffidabilità presso molte cancellerie.

Cos’è cambiato dal governo Conte I al governo Conte II in questo senso?

Pensiamo alla questione dei dazi. In gennaio, in vista del rinnovo dei dazi statunitensi previsto per metà febbraio, sono stato a Washington per trattare con l’amministrazione Trump e fortunatamente siamo riusciti a evitarli, anche grazie al coinvolgimento dei parlamentari italoamericani, sia repubblicani che democratici, che su nostra iniziativa hanno preso pubblicamente posizione contro i dazi sui prodotti italiani. Devo ringraziare l’ambasciatore Armando Varricchio e il suo team a Washington e i ministri Enzo Amendola e Teresa Bellanova per la loro collaborazione in questo sforzo: credo di poter dire che il governo in quel momento ha dato mostra della capacità di fare un gran lavoro di squadra. Adesso, nonostante le limitazioni sui viaggi, stiamo rinnovando i contatti con gli Stati Uniti — ho parlato questa settimana con Jeffrey Gerrish, vice rappresentante commerciale degli Stati Uniti — e anche con il commissario europeo al commercio Phil Hogan, e speriamo di evitare nuovi dazi anche nella prossima tranche prevista per il 12 agosto.

In che modo state lavorando?

Premettiamo una cosa: gli Stati Uniti hanno il diritto di imporre questi dazi sulla base di una sentenza del Wto. Quando a gennaio abbiamo fatto presente agli Stati Uniti di non essere parte di Airbus, loro ci avevano risposto dicendo di aspettarsi che l’Unione europea tutta chiedesse ai Paesi membri del consorzio di tornare a una situazione di legalità, abolendo quindi i sussidi illegali sulla base dei quali sono state consentite le sanzioni. In questi mesi ho lavorato sui membri del consorzio (Francia, Germania, Regno Unito e Spagna) chiedendo loro di rimuovere le irregolarità rilevate dal Wto. Il commissario Hogan ha comunicato alcuni giorni fa che, dopo le modifiche sul sistema dei sussidi, quei Paesi sono nuovamente in condizioni di legittimità.

Che cosa vi aspettate ora?

Che il commissario Hogan lavori con gli Stati Uniti per far presente questa nuova situazione. E ci auguriamo quindi che i dazi di agosto non vengano imposti ma anche, se è vero che le condizioni di illegittimità sono venute meno, anche quelli precedenti vengano rimossi. Il tutto in attesa della sentenza, slittata per il coronavirus, su Boeing, che potrebbe contribuire a cambiare le cose.

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