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La Corte di Strasburgo salva la legge Severino, ma Berlusconi punta al colpaccio

La Corte europea dei diritti dell’uomo rigetta il ricorso contro la legge che fa decadere i parlamentari e impedisce di candidarsi. Ma Berlusconi ha puntato tutte le sue fiches sul ribaltamento della sua unica condanna, per il processo Mediaset. Il precedente degli avvocati di Agnelli e le dieci domande che fanno sperare il leader di Forza Italia

Cosa hanno in comune un candidato alle regionali del Molise e Silvio Berlusconi? Un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Marcello Miniscalco fu escluso dalle liste elettorali nel 2013 perché condannato per abuso d’ufficio, in applicazione della Legge Severino, proprio come successe a Berlusconi, costretto a lasciare il Senato e a non potersi ricandidare in seguito alla condanna definitiva nel caso Mediaset. E ora la Corte, che ha sede a Strasburgo, ha deciso che l’esclusione di Miniscalco era corretta, “salvando” dunque anche la norma che porta il nome della ministra della Giustizia del governo Monti.

L’irretroattività della legge penale sfavorevole

Nell’ordinamento italiano, anche in virtù dei principi della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata dal nostro Paese e applicata dalla Corte di Strasburgo, quando il legislatore introduce sanzioni più gravi per una fattispecie, queste si applicano solo ai reati compiuti dopo l’entrata in vigore della legge. Il principio della non retroattività della legge penale sfavorevole (e, al contrario, della retroattività di quella favorevole) farebbe dunque pensare che una sanzione accessoria – come l’esclusione dalle cariche elettive – dovrebbe applicarsi solo se prevista al momento del compimento del reato. Su questo si basava la contestazione di Miniscalco e Berlusconi, che però ritirò il suo ricorso nel 2018, prima della pronuncia definitiva.

La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo

Nella sentenza depositata due giorni fa, l’incandidabilità non costituisce una pena, dunque non viola il principio dell’irretroattività della legge penale sfavorevole e “non può essere considerata sproporzionata rispetto all’obiettivo di assicurare il buon funzionamento democratico che le autorità si prefiggono di raggiungere”. I giudici inoltre “accettano la scelta del legislatore italiano di scegliere come riferimento per l’applicazione della legge Severino la data in cui una condanna diviene definitiva e non quella in cui sono stati commessi i reati”.

Il ricorso di Galan, destituito dal suo seggio alla Camera

L’altra doccia fredda da Strasburgo è arrivata per Giancarlo Galan, già presidente della Regione Veneto e condannato per corruzione nel caso Mose. Fu rimosso dalla Camera dei Deputati nel 2016 in virtù della Legge Severino anche se i fatti illeciti risalivano a un periodo antecedente all’approvazione della norma. Per questo ha fatto ricorso e, come Miniscalco, non ha trovato ristoro dai giudici che sovrintendono al rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo. Anche la cacciata dal Parlamento non è da considerare alla stregua di una pena.

Berlusconi, De Benedetti e il Lodo Mondadori

Il Cavaliere avrebbe probabilmente perso il suo ricorso contro la Legge Severino, sia per la perdita del seggio che per il divieto temporaneo di correre alle elezioni. Ma il lavoro dei suoi avvocati a Strasburgo non è finito, anzi. C’è l’impugnazione del maxi-risarcimento da 494 milioni di euro in favore di Carlo De Benedetti, un lungo strascico del famigerato Lodo Mondadori. Dopo la conquista della casa editrice, Berlusconi fu considerato prescritto nel processo che vide la condanna dell’avvocato Cesare Previti e del giudice Vittorio Metta, ma De Benedetti portò avanti una causa civile fino alla vittoria in Cassazione nel 2013, dopo oltre 22 anni dal passaggio delle quote Mondadori. Perché Berlusconi ha fatto ricorso? Perché nei tre gradi del giudizio civile i giudici hanno “affermato la sua colpevolezza per un fatto di corruzione rispetto al quale egli era stato già prosciolto per intervenuta prescrizione del reato”, così violando la presunzione di innocenza.

La condanna Mediaset, il ne bis in idem e le 10 domande al governo italiano

Ma è sull’unica condanna definitiva ricevuta da Berlusconi, la sentenza Mediaset che gli è costata lo scranno e la ricandidabilità, nonché l’affidamento in prova ai servizi sociali, che si giocherà davvero il destino giudiziario del Cavaliere. Nel frattempo il leader di Forza Italia è stato riabilitato ed è stato eletto al Parlamento europeo, ma non ha mai smesso di dichiarare quella condanna viziata, tenendo vivo il cosiddetto “quarto grado” di giudizio, quello della Corte di Strasburgo.

Che qualche giorno fa, dopo ben sette anni dall’inizio del procedimento, ha inviato al governo italiano dieci domande sul processo, chiedendo se fossero stati rispettati i diritti di difesa. I quesiti sono un grosso punto a favore per Berlusconi perché vanno nella direzione della sua strategia di difesa, accendono un faro sui giudici che lo hanno condannato e sulla grande confusione che regna al confine tra reati “per colletti bianchi” e illeciti amministrativi. In particolare, l’ultima domanda fa riferimento al principio del ne bis in idem. In America lo chiamano double jeopardy e stabilisce che nessuno può essere punito due volte per lo stesso fatto illecito.

Il precedente Gabetti-Grande Stevens

Come si applica nel caso Mediaset? Lo spiega un’altra sentenza della Corte europea, che diede ragione ai due avvocati di Gianni Agnelli, Gianluigi Gabetti e Franzo Grande Stevens. L’Avvocato prima di morire chiese loro di mantenere il controllo della Fiat in mano alla famiglia, a ogni costo. Il desiderio fu rispettato: nel 2005 si lanciarono in uno swap di azioni Ifil-Exor accompagnato da un comunicato al mercato che fu poi dichiarato falso. Per quell’azione spericolata furono sanzionati pesantemente dalla Consob, e poi condannati in sede penale.

Per i giudici di Strasburgo, però, una sanzione amministrativa “molto afflittiva” come quella dell’autorità che disciplina la Borsa è già una pena. Dunque si trattò di una doppia punizione per lo stesso fatto. La Corte impose all’Italia di chiarire, modificando la normativa, il confine tra sanzioni amministrative e sanzioni penali e diede ragione a Gabetti e Grande Stevens.

C’è un giudice a Strasburgo?

Berlusconi, nel caso Mediaset (diritti tv pagati negli anni ’90 attraverso società offshore) fu accusato di frode fiscale – pur non avendo firmato i bilanci né avendo avuto ruoli diretti nelle operazioni contestate – e l’azienda in varie occasioni ha pagato somme salatissime all’Agenzia delle Entrate per le imposte non versate su quelle compravendite. C’è una differenza tra i due casi: l’ente di riscossione si costituì parte civile nel processo principale, e 10 milioni di euro furono aggiudicati all’Erario nella stessa sentenza. Solo che ci furono altri procedimenti, conclusi con sanzioni o transazioni, per le stesse operazioni finanziarie, cosa che potrebbe costituire una violazione del ne bis in idem.

L’Avvocatura dello Stato entro il 15 settembre dovrà rispondere ai dieci quesiti di Strasburgo. Berlusconi ha puntato molto sul ricorso Mediaset, perché vuole chiudere la sua carriera con una piena riabilitazione nel merito. Non manca un certo grado di ironia: la Corte che in decine di casi ha condannato l’Italia per l’eccessiva lunghezza dei processi è talmente lenta nel prendere le sue decisioni che nel frattempo Berlusconi è stato più che riabilitato politicamente, è di nuovo al governo ed è considerato, in Italia e in Europa, un baluardo istituzionale e un freno al populismo e sovranismo dei suoi alleati. Il giudice a Strasburgo c’è, ma serve ancora?

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