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Liberalismo vs socialismo, dopo 20 anni la Terza via è ancora attuale? Scrive Pittella

Di Gianni Pittella

La moderna socialdemocrazia saprà trovare un punto di equilibrio, senza rinnegare la spinta di modernità della terza via ma depurandola da eccessi liberisti e antistatalisti? Il commento di Gianni Pittella, senatore del Pd, già capogruppo di S&D al Parlamento europeo

La “terza via”, come noto, è stato il modo con cui diversi pensatori e uomini politici hanno provato a indicare un cammino altro rispetto alla tradizionale antitesi liberalismo versus socialismo e, per lo più, ha identificato posizioni riformiste e gradualiste di radice socialista ma anche posizioni riformiste di matrice liberale, come è il caso della schiera dei giovani conservatori inglesi degli anni ’30 capeggiati da Harold Mcmillan, autore del saggio “The middle way”, La via di mezzo, e dipoi primo ministro.

Tutti questi tentativi di conciliare sotto diversi aspetti e mitigare i due poli citati hanno trovato nella dissoluzione del Muro di Berlino un detonatore, soprattutto per il Partito Socialista europeo.

La temperie culturale era questa: il capitalismo di Stato, nato per correggere le storture del mercato aveva finito per aggravarle e prodotto inefficienze economiche, clientele antimeritocratiche, argini al fluire della creatività dell’intrapresa economica.

Quando Anthony Giddens che dirigeva la London School of Economics dava alle stampe nel 1998 la sua “La terza via” che definiva la piattaforma dei New Labour di Tony Blair, l’humus era pronto perché attecchisse in modo formidabile. Personalmente, arrivo a Bruxelles nel lontano 1999 proprio quando il libro di Giddens e il pensiero che esprimeva si radicava a sinistra in tutto il Vecchio continente e fuori da esso. Non a caso il sottotitolo del libro di Giddens era “Manifesto per la rifondazione della socialdemocrazia” e si proponeva dunque di cambiare i connotati, certo vetusti, dell’Old Labour e del vecchio gradualismo socialdemocratico.

Oltre a Blair, Clinton, Schroeder e Cardoso ne furono i principali profeti politici e, in Europa, dodici dei quindici Paesi della Comunità Economica Europea erano a guida di sinistra e più o meno direttamente legati a questo approccio politico, Italia di Prodi e D’Alema compresa.

Il Parlamento europeo che era ed è espressione democratica del sentimento dominante tra i popoli europei non ne fu esente. E non senza conseguenze sul tema lavoro e politiche sociali.

I pilastri fondamentali della Terza Via furono il ripudio dell’interventismo statale e dell’assistenzialismo, il governo ma non il rifiuto della globalizzazione, il miglioramento dell’istruzione, la riforma dei sistemi pensionistici, la riduzione dell’esclusione sociale attraverso però una riforma del welfare che rendesse più flessibile ed efficiente il mercato del lavoro.

Questo rinnovamento dell’infrastruttura culturale della sinistra ebbe certamente il pregio di eliminare incrostazioni vetuste e valorizzare talento, creatività e merito anche nel nostro campo ma finì per mettere sul mercato quasi tutta l’economia di mano pubblica che, pure a volte inefficiente, non meritava di essere tout court ceduta al mercato privato, generando a volte nuovo oligopoli, soprattutto in settori e mercato di monopolio naturale.

Infine, la sinistra del New Labour finiva per non riconoscere più i diritti sociali giudicati in contrasto col mercato, e fondare la propria identità sui diritti umani ispirati alla libertà del singolo individuo.

Per uno strano paradosso, la sinistra diventa antisociale in nome della libertà di determinazione dell’individuo.
Anche le battaglie che oggi, a distanza di alcuni decenni, caratterizzano la sinistra di governo riguardano poco la struttura economica e sociale, molto i diritti di libertà individuale.

Non che da allora non vi siano stati ripensamenti anche a sinistra, e anche nelle stanze decisionali europee.

Aver introdotto nel 2015 il Pilastro Europeo dei Diritti Sociali è stato un passo in avanti nel senso di un nuovo modello fondato su crescita economica equilibrata, economia sociale di mercato e progresso sostenibile dal punto di vista sociale e ambientale.

Il completamento del mercato unico, la lotta all’inflazione e la moneta comune che erano stati i mantra indiscutibili della Comunità-Unione del secolo XXI cominciano a trovare i primi contraltari equilibratori.

Per uno strano caso del destino, la pandemia può rappresentare, sta rappresentando l’opportunità di un vero cambio di passo sul fronte del sostegno keynesiano allo sviluppo e alla crescita, e parallelamente un rafforzamento della rete di protezione sociale e del ritorno dello Stato attore dell’economia.

Se la moderna socialdemocrazia saprà trovare un punto di equilibrio, senza rinnegare la spinta di modernità della terza via ma depurandola da eccessi liberisti e antistatalisti sarà nella nostra capacità di elaborazione teorica e applicazione pratica. Una nuova via con radici antiche.

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