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Autonomia strategica Ue? Stavolta gli Usa… Parla Bergmann (Cap)

L’autonomia strategica “non è più un’opzione”, dice il commissario Breton. Bergmann (Center for American Progress) spiega come procedere coinvolgendo anche Washington. Perché, e lo dimostra l’Afghanistan, “l’Ue non è strutturata per agire senza gli Usa”

Inevitabilmente la crisi afgana ha riacceso il dibattito sull’autonomia strategica dell’Unione europea. Viene da pensare che la decisione di seguire gli Stati Uniti nel ritiro dall’Afghanistan sia una dimostrazione che la strada verso quell’obiettivo sia ancora lunga.

“La tragedia in Afghanistan evidenzia anche la dipendenza dell’Europa dalla politica estera e di sicurezza di Washington. Siamo arrivati a una svolta. La difesa comune europea non è più un’opzione. L’unica domanda è quando”, ha detto Thierry Breton, commissario europeo al mercato interno, in un lungo post su LinkedIn presentando i suoi obiettivi. Che sono articoli in tre punti: una dottrina europea di sicurezza e difesa per definire dove, quando e perché intervenire, e se necessario integrare autonomamente le missioni della Nato; una forza di proiezione militare che sia operativa, flessibile e che possa essere mobilitata rapidamente; un quadro istituzionale e politico europeo rinnovato, nel pieno rispetto delle competenze degli Stati membri in questo settore.

“Il punto non è la capacità dell’Unione europea ma la volontà politica” di muoversi in questa direzione, spiega Max Bergmann, ex funzionario del dipartimento di Stato americano, oggi senior fellow del Center for American Progress, a Formiche.net. L’esperienza in Afghanistan dimostra che “l’Unione europea non è strutturata per agire senza gli Stati Uniti”. Ora è tempo, prosegue, “è tempo che i leader europei procedano a una valutazione della situazione per poi decidere come agire su diversi fronti, dall’Africa al Medio Oriente fino l’Asia centrale”.

L’autonomia strategica europea “non è un’idea nuova”, sottolinea Bergmann. Ma, a differenza degli ultimi 20 anni, adesso gli Stati Uniti, più orientati all’Indo-Pacifico, “potrebbero sostenere una proposta che li coinvolgesse in qualche modo” per un’Unione europea “che sia complementare alla Nato e non rivale”.

E così, con la fine dell’era di Angela Merkel in Germania e le difficoltà di Emmanuel Macron in Francia, l’Italia può essere protagonista. Riecheggiano le parole pronunciate dal generale Vincenzo Camporini, già capo di stato maggiore della Difesa, a Formiche.net nei giorni scorsi: “Un’idea? [Mario] Draghi a capo di un nucleo di Europa unita costituito da tutti i grandi, i Paesi fondatori. Quello sarebbe un magnete per tutti gli altri membri. Unico futuro possibile secondo me, per non accontentarsi di piangere sui poveri rifugiati come facciamo adesso con l’Afghanistan. Un modo che eviterebbe all’Europa di restare senza possibilità alcuna di incidere nella Storia”.

Rimanendo sullo scacchiere afgano con Bergmann osserviamo le mosse di Pechino e Mosca. Rafforzare interazione e coordinamento con la Russia e l’intera comunità internazionale sulla situazione in Afghanistan, per il quale serve favorire la creazione di una struttura politica aperta e inclusiva dissociandosi da tutte le organizzazioni terroristiche. Questa l’agenda presentata dal presidente cinese Xi Jinping all’omologo russo Vladimir Putin durante un colloquio telefonico avvenuto il giorno dopo la riunione del G7.

La Cina non punta a riempire il vuoto lasciato dagli Stati Uniti in Afghanistan, spiega Bergmann. L’approccio di Pechino “è commerciale”, dice sottolineando il valore delle risorse minerarie afgane. “Dare supporto economico sì, ma rimanere invischiato in Afghanistan no”.

C’è un aspetto, però, che mette tutti d’accordo, “Cina, Russia, e pure Unione europea”, spiega Bergmann: il contrasto al terrorismo. In questo senso, continua l’esperto, è importante sottolineare che “i cinesi non hanno intelligence sulla situazione, quantomeno non come i russi che sono presenti in Afghanistan e hanno conoscenza del Paese da anni”. Questa può essere un’occasione per Mosca per rafforzare la sua leva con Pechino, osserva.

Bergmann definisce “ingarbugliato” il rapporto dell’occidente con la Russia. C’è un aspetto positivo: come detto, Mosca “vuole evitare che l’Afghanistan diventi un paradiso per i terroristi” e “punta a un Paese stabile”. E uno negativo: “la Russia potrebbe utilizzare, anche via Bielorussia, la leva dei migranti contro l’Europa” soffiando sul fuoco dell’ultradestra. Ci può essere “allenamento” con Mosca “ma anche tensioni”, riassume.

Sarà “dura”, aggiunge. E lo stesso commenta guardando agli sforzi italiani per l’organizzazione di una riunione straordinaria del G20 incentrata sull’Afghanistan in modo tale da coinvolgere anche, oltre a Russia e Cina, anche Arabia Saudita, India e Turchia.

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