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L’Antitrust stronca la versione italiana della Direttiva Copyright

Rustichelli firma un parere durissimo contro lo schema di decreto che dovrà recepire la Direttiva Copyright. Un testo “dirigistico”, che travalica il testo approvato a Bruxelles e la delega parlamentare, “idoneo a restringere la concorrenza”. Basterà per costruire un dibattito sul tema, finora totalmente assente?

Da piazza Verdi sta per partire un duro colpo alle aspirazioni dei grandi editori e ai progetti della Presidenza del Consiglio. Un parere dell’Antitrust stronca lo schema di decreto che dovrà recepire in Italia la Direttiva Copyright, piombato in piena estate in Consiglio dei ministri dopo oltre due anni di paralisi amministrativa. “Prescindendo da possibili ulteriori profili di legittimità costituzionale e di conformità ai principi dell’Unione europea, ad avviso dell’Autorità, lo Schema […] introduce previsioni che, oltre ad essere estranee – e pertanto – non conformi ai principi indicati dall’articolo 9 della Legge di delegazione […], sono altresì idonee a restringere ingiustificatamente la concorrenza”.

Non solo, il testo firmato dal presidente Roberto Rustichelli si concentra sull’articolo 15 della Direttiva, il cui recepimento in Italia è stato sicuramente il più controverso (qui l’intervista di Formiche.net al professor Colangelo). La norma, nella versione originale, dà la possibilità agli editori di contrattare con le grandi piattaforme online (Google e Facebook in testa) un compenso per la condivisione dei loro contenuti. Nella bizzarra trasposizione italiana si introduce un obbligo a contrarre, con un termine perentorio, un non meglio precisato equo compenso e, in mancanza di accordo, l’intervento dell’AgCom che dovrà determinare una cifra congrua, sulla base di criteri difficili da stabilire (“equità, proporzionalità (…), storicità, posizionamento nel mercato”) che possono solo favorire i grandi gruppi consolidati a scapito degli editori medio-piccoli e di settore.

Tutti elementi assenti nel testo concordato a Bruxelles, che renderebbero l’Italia un unicum tra i 27 stati membri e ignora l’obiettivo di armonizzazione degli ordinamenti (qui l’intervista all’avvocato Scialdone). Per questo Rustichelli scrive che la bozza italiana “travalica i limiti posti dal legislatore europeo e dalla delega parlamentare, introducendo fattispecie soggettive e oggettive non previste dalla disciplina eurounionale e individuando meccanismi negoziali limitativi della libertà contrattuale degli operatori economici”.

L’Agcm, giustamente, censura l’introduzione di principi totalmente estranei alla ratio della norma, “invasivi”, che introducono “ingiustificati vincoli alla autonomia negoziale delle parti e, in definitiva, al funzionamento dei mercati, soprattutto in assenza di evidenza circa possibili fallimenti del mercato”. Stiamo parlando di “mercati soggetti a rapidi e profondi cambiamenti determinati dall’innovazione tecnologica”.

Sarebbe meglio prevedere un ruolo maggiore per organismi e intermediari – prosegue l’Authority – che possano negoziare i rapporti tra editori e over the top, invece di adottare un approccio “eccessivamente dirigistico, con un pervasivo, e sovente inefficace, intervento dei pubblici poteri che non incentiva il dispiegarsi di corrette dinamiche negoziali e che peraltro è foriero di significative e ingiustificate discriminazioni concorrenziali”. Per questo “l’Autorità ritiene che il recepimento della Direttiva Copyright presenti, allo stato, rilevanti criticità concorrenziali” e “auspica che le osservazioni sopra svolte possano essere tenute adeguatamente in considerazione nell’ambito dell’iter di recepimento in corso”.

Cosa farà ora il governo che, nella speranza di aiutare i grandi editori, ha costruito un testo chiaramente esposto a ricorsi in sede di giustizia europea, amministrativa e forse anche costituzionale? Di sicuro, la scossa di Rustichelli servirà ad alimentare un dibattito che, nel silenzio dei principali organi d’informazione che molto hanno puntato su queste norme per risollevare fatturati in declino, in questi due anni è mancato totalmente.

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