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I temi politici che minacciano il futuro del comparto farmaceutico

L’incontro organizzato da Edra e Health & Science Bridge, è stato moderato da Beatrice Lorenzin, e ha visto la partecipazione di dirigenti del settore pubblico e privato del calibro di Giovanni Tria, Giorgio Palù, Massimo Scaccabarozzi, Marcello Cattani, Lucia Aleotti e Paola Testori Coggi. Gli Ipcei (Important projects of common european interest) potrebbero garantire una risposta adeguata alla necessità di supportare la ricerca medica e implementare la capacità di produzione in ambito sanitario e farmaceutico

“Investire in Italia per essere competitivi”, è questo il titolo dell’evento che si è svolto presso il Centro Studi Americani di Roma lunedì 29 novembre, dove un parterre di relatori di rilievo ha aperto prospettive inedite e fondamentali sugli IPCEI Health e gli strumenti di sviluppo nel settore farmaceutico. L’incontro organizzato da EDRA e Health & Science Bridge, è stato moderato dall’on. Beatrice Lorenzin, e ha visto la partecipazione di dirigenti del settore pubblico e privato del calibro di Giovanni Tria (consigliere del Ministro dello Sviluppo Economico) Giorgio Palù (presidente di Aifa), Massimo Scaccabarozzi (presidente di Farmindustria), Marcello Cattani (Farmindustria), Lucia Aleotti (vicepresidente Farmindustria) e Paola Testori Coggi (consigliere di Alisei). Ad aprire gli interventi è stata proprio quest’ultima, che ha spiegato cosa siano gli IPCEI (Important Projects of Common European Interest) e perché l’Italia dovrebbe velocizzarne l’apertura, per garantire una risposta adeguata alla necessità di supportare la ricerca medica e implementare la capacità di produzione in ambito sanitario e farmaceutico. Appare ormai chiaro quanto sia fondamentale la creazione di un environment positivo per attrarre gli investimenti nel settore. Il lancio di un IPCEI Health stimolerebbe l’innovazione nel campo della salute consentendoci di posizionare il nostro Paese in aree strategiche chiave per il futuro.

Si tratta di uno strumento messo a punto della Commissione europea nel 2014 – ha spiegato la Testori Coggi per permettere agli stati di dare avvio ad una prima produzione industriale. Ad oggi ne sono stati adottati cinque. Tre di questi già ratificati e avviati, di cui uno per la microelettronica e due per le batterie (a cui l’Italia partecipa), e altri due sono in preparazione, di cui uno sulle infrastrutture digitali e un altro sull’idrogeno.

L’IPCEI viene presentato dagli Stati ma dev’essere approvato dalla Commissione europea. Per essere approvato c’è bisogno che risponda ad alcuni criteri stringenti quali: rafforzare la competitività; servire alla creazione di una catena di valore nell’ottica di una crescita sostenibile; apportare al paese un valore aggiunto, per cui non può essere il mero rafforzamento di un sistema preesistente.

Testori Coggi ha segnalato come la Francia, sulla base di una valutazione internazionale sui possibili ambiti di applicazione di questo strumento, condotta all’interno di un forum europeo, abbia lanciato per prima l’iniziativa di creare un IPCIEI sulla Salute. Germania, Italia, Spagna ed Austria hanno manifestato subito la loro adesione. Per il momento gli ambiti di applicazione che la Francia ha indicato sono molto ampi, è questo – ha detto l’esponente di Alisei- per noi è un bene. Perché è in sede progettuale che si definirà poi, concretamente, l’utilizzo specifico di questi fondi nei diversi Paesi. Il campo di applicazione comprende attualmente: l’innovazione nei processi di produzione per ridurre le dipendenze; favorire la transizione ecologica nel settore farmaceutico; la medicina personalizzata e il medtech; il controllo delle crisi sanitarie.

La Francia ha già lanciato un bando di gara a livello internazionale, ricalibrando l’obiettivo, e restringendolo sull’ambito d’interesse delle proprie industrie. Ha così indirizzato il progetto alla valorizzazione dell’industria 4.0, alla produzione dei vaccini, all’oncologia e all’implementazione delle capacità produttive modulari.

Il 25 novembre l’Unione europea ha modificato i criteri per l’adozione degli IPCIEI, chiedendo agli stati più trasparenza ed inclusività, e chiedendogli pure di favorire la partecipazione delle PMI, riconoscendo come obiettivo strategico primario quello di accelerare la transizione green, premiando quindi tutte le tecnologie pulite.

Testori Coggi ha poi spiegato che esistono delle divergenze di visione e di opinione all’interno della Commissione europea, ma nonostante questo si tende a far valere la linea della flessibilità, che è quella indicata dal commissario Ue per il mercato unico: Thierry Breton.

Mentre per l’IPCIEI sull’idrogeno l’Italia ha già presentato venti progetti, più di tutti gli altri Paesi membri, per l’IPCIEI salute non esiste ancora un bando specifico, nonostante i fondi siano già disponibili. Il Mise ha stanziato infatti 1,7 miliardi di euro per quelle aziende che parteciperanno al progetto, creando una situazione nella quale, però, non essendoci il bando opportuno, l’Health Industry è ancora in una situazione di stallo, o comunque di ritardo, rispetto agli altri settori interessati (come l’idrogeno o le batterie).

Insieme all’IPCEI Health ci sono altri strumenti di incentivazione disponibili, come i contratti di sviluppo (che il Mise ha esteso, con un decreto del maggio scorso, in tutto il territorio nazionale), gli accordi sull’innovazione e il temporary framework (rinnovato fino a giugno 2022), ma è fondamentale che siano resi utilizzabili e flessibili (che vuol dire soprattutto ampliare i limiti temporali di sei mesi attualmente vigenti) in modo che gli investimenti nel settore delle scienze della vita portino a un significativo rafforzamento strutturale della capacità produttiva del sistema per quanto riguarda prodotti medici essenziali, quali farmaci e vaccini.

La necessità di essere efficaci e veloci, come Paese, nella competizione e nella concorrenza internazionale nel settore farmaceutico, è stata ribadita con forza dall’intervento di Massimo Scaccabarozzi. Il presidente di Farmindustria ha fatto notare che la crescita media europea, nel settore, è del 18%, ma ci sono paesi come Germania e Belgio che stanno crescendo ad un ritmo del 30%. Per Scaccabarozzi l’Italia ha bisogno di sostenere i processi di ricerca e sviluppo, agevolare i processi di regolamentazione e ridurre i tempi di autorizzazione quando si tratta di aprire o migliorare un impianto produttivo. Anche il tema delle risorse umane e delle competenze è fondamentale, un asset assolutamente attrattivo per gli investimenti esteri che dev’essere preservato, implementato e valorizzato molto più di quanto ora non si stia facendo. Scaccabarozzi cita Mario Draghi, il quale sostiene che “bisogna emendare gli errori passati e completare quei processi lasciati incompiuti” e segnala come sia proprio la farmaceutica il banco di prova di tutto questo.

Lucia Aleotti ha presentato dei dati molto significativi, mostrando come l’indotto della produzione farmaceutica arrivi a produrre in Italia, complessivamente, 65 miliardi di euro ogni anno. Se infatti ai 34 miliardi del valore prodotto dal solo settore farmaceutico, si collega quello prodotto dalle aziende che forniscono beni e servizi complementari, è questa la cifra stimata. Il settore tra le altre cose, in Italia ha ridotto il consumo di energia non rinnovabile di oltre il 50%, ed è di fatto uno dei più virtuosi dell’intero sistema produttivo. Aleotti ha fatto presente però che oltre il 70% della produzione delle principali imprese italiane che operano nel settore si realizza fuori dal Paese, e in buona parte fuori dall’Europa: il rischio che una scarsa intelligenza strategico-politica interna non riesca a rendere l’Italia e l’Europa più attrattive e competitive a livello internazionale, minaccia di ridurre ulteriormente questa presenza. Questa prospettiva, qualora si trasformasse in realtà, genererebbe un dissesto economico, ma pure sociosanitario per il Paese e per i Paesi membri, che – come hanno invece perfettamente capito gli Stati Uniti – non solo hanno nella farmaceutica uno dei principali settori produttivi, ma sul tema dell’indipendenza farmacologica si giocano anche un elemento chiave della loro sicurezza nazionale (vedi il Covid). Anche di fronte all’avanzata inarrestabile del mercato cinese, l’Europa pare non accorgersi di quanto sia indispensabile cambiare il paradigma della concorrenza interna, riorganizzando le norme del mercato in relazione alle necessità del consumo europeo, soprattutto ricercando l’autonomia dalle importazioni extra-continentali, e nello specifico da quelle cinesi.

Marcello Cattani ha poi approfondito la questione del protagonismo francese in quest’ambito, spiegando come Parigi riconosca principalmente in due settori le priorità della sua politica internazionale: difesa e areo-spazio, e, appunto, biofarmaceutica.

La Francia è un Paese estremamente ambizioso – ha detto Cattani – che grazie alla sua ricerca di una leadership europea in ambito healthcare sta ottenendo dei risultati importanti. Il governo francese ha portato la dotazione iniziale di 1,5 miliardi, per il supporto al comparto farmaceutico, a 7 miliardi di euro, conquistando un vantaggio strategico, in prospettiva, notevole. Alla luce dei nuovi rapporti che Italia e Francia stanno vivendo in questi mesi, ha poi aggiunto, occorre che ci si ponga una domanda sul futuro della farmaceutica a livello europeo. Tre mesi fa gli Emirati Arabi hanno annunciato che entro dieci anni saranno il primo hub per ricerca e sviluppo e produzione di farmaci. Questa notizia è passata sottotraccia, mentre implica un’allerta incredibile per la produzione europea. Anche e soprattutto perché gli Emirati hanno tutti gli strumenti economici e politici per raggiungere quest’obbiettivo. L’Europa ha bisogno di un salto di visione strategica, ha concluso Cattani.

Particolarmente acuta l’analisi trasversale del problema Paese che ha offerto Giorgio Palù, il quale – ricordando la sua esperienza di preside della facoltà di Medicina – ha sottolineato come quasi tutti i suoi studenti siano oggi professori universitari all’Estero, non essendo riusciti a trovare in Italia uno spazio dove investire in modo soddisfacente le loro competenze e capacità. “Mi permetto di dire alla politica – ha affermato Palù- di guardare al passato. Abbiamo investito nella cassa del Mezzogiorno, per esempio, ma non ci siamo dati delle vere priorità. Anche nell’ambito del turismo e del made in Italy abbiamo raccolto la frustrazione di tante e tante occasioni perse. Pur avendo il 70 o addirittura l’80% del patrimonio artistico mondiale, ci è mancata una visione di lungo periodo, per cui ci batte la Croazia, la Spagna. Non abbiamo una visione univoca, siamo dispersi. Ho visto come la Francia invece si è data delle priorità, e tra queste, appunto: il biotech. Oltre ai numeri e al fatturato della produzione farmaceutica, occorre guardare alla realtà. Oggi se parliamo di farmaci dovremmo parlare in larga misura di biofarmaci. Per quanto riguarda l’innovazione sul processo l’Italia è certamente ai primi posti, ma se parliamo del prodotto, ahimè – ha continuato Palù – stiamo iniziando adesso. Se non ci diamo una priorità in questo settore, che è strategico e non ancillare, non supereremo questo ritardo. Noi abbiamo tante individualità, bellissime eccellenze, ma non riusciamo a fare massa critica né a creare sinergie. Non abbiamo al momento, oltre alla visione, gli strumenti necessari per aumentare la competitività sul mercato. Strumenti quali la defiscalizzazione – che ho visto invece in Lituania piuttosto che in Slovenia, senza scomodare quindi né Stati Uniti e né Cina, e nemmeno Gran Bretagna e Germania. Il punto fondamentale è che la creazione di una visione strategica di questa portata nasce sempre come spin-off del mondo accademico, mentre noi abbiamo le università l’un contro l’altre armate. Ho visto la distribuzione del PNRR e non ho potuto non notare delle duplicazioni. Il mio contributo consiste, da questo punto di vista, nel consigliare che si trovi e si condivida una vera visione di lungo periodo. Dove vogliamo arrivare? Sono i francesi a tirare il carro? Vogliamo accodarci? Bene, ma che si faccia con criterio, seguendo un orizzonte progettuale unico. Siccome si parla di sanità, e dunque oltre al Mise sono coinvolti altri Enti istituzionali di raccordo, quali il ministero della Salute e dell’Università, è fondamentale individuare un attore centrale che possa coordinare le scelte. Si parla di miliardi, per cui è chiaro che la dispersione la frammentazione risulterebbero fatali. In merito ad Aifa e al suo contributo mi sono già espresso sul fatto che riconosco il bisogno di riformarla completamente. C’è un serio problema di governance, all’interno delle sue commissioni. Va istituita una commissione unica i cui membri siano caratterizzati da un alto profilo scientifico, lavorino esclusivamente e in modo selettivo per Aifa, e che quindi siano remunerati in modo appropriato. Soprattutto vanno ripensati a livello centrale le politiche d’incentivo per la ricerca e la produzione di prodotti innovativi. L’Aifa certamente può contribuire a questo processo, ma prima di farlo dev’essere completamente rinnovata, perché così com’è può entrare solo nel merito regolatorio. Quello che io ho potuto fare come presidente del Cda è stato solo stimolare l’uso dei monoclonali, stimolare, con i pochi fondi di cui disponiamo, alcune ricerche veramente innovative, ma in generale la priorità resta ripensare tutto sulla base di una visione nuova e univoca”.

Della stessa linea Martina Nardi (presidente Commissione Attività Produttive della Camera), la quale ha evidenziato pure che oltre a quello della defiscalizzazione, bisogna considerare il tema della difficoltà delle aziende ad insediarsi nel territorio. Tema che implica la necessità di ripensare in modo mirato un sistema di distrettualità coraggioso, per cui ci si assuma la responsabilità di scelte strategiche che possono anche implicare delle delusioni per alcune aree.

A concludere l’incontro l’ex ministro Tria, che in ultima battuta ha inquadrato un problema storico-politico ben preciso. Il fatto cioè che il mercato europeo si sia strutturato, nelle sue normative e nei suoi sistemi di regolamentazione, guardando sempre ad intra, e valutando poco l’importanza del contesto extra-europeo. Oggi la situazione è radicalmente cambiata, e ci si è accorti con un certo ritardo- ha detto Tria- che ci mancano gli strumenti sia concettuali, sia operativi, per sostenere non solo la concorrenzialità ma pure la competitività. I rapporti interministeriali sono senza dubbio quelli più complicati. Per affrontare la pandemia si è creato un ente nuovo, ma questo non resterà per sempre: e dopo? Manca, in buona sostanza, un attore centrale operativo, che introduca e gestisca i fondi secondo progetti, e non con il sistema degli sportelli, quello per cui un’azienda fa domanda e inizia un girotondo infinito da un ufficio di un ministero a un altro.  C’è bisogno di una cabina di regia, rappresentata da un’istituzione forte, che sia in grado di operare. Questo richiede che siano cambiate le norme e snellita poderosamente la burocrazia. Quando i progetti ci sono, e sono validi, i fondi si trovano. Ma questo non basta: ci vogliono le norme per poterli utilizzare e un attore abilitato a utilizzarli immediatamente. Questo è il nodo politico, e anche operativo, del momento.

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