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Referendum. Due e più buoni motivi per non andare al mare

No, non è questo il momento di ascoltare il vecchio consiglio di Craxi: il 12 giugno non andate al mare. I sei referendum sulla Giustizia che attendono gli italiani alle urne  trattano questioni apparentemente tecniche ma molto impattanti sulla nostra vita democratica. Il commento del prof. Alfonso Celotto

Il referendum abrogativo è il principale strumento di democrazia diretta nella nostra Costituzione. L’occasione per essere chiamati a pronunciarsi direttamente su grandi temi politici e istituzionali.

Tutti sappiamo che l’art. 75 Cost ha trovato attuazione soltanto a partire dal 1970 e che con il referendum sono stati sottoposti al voto popolare temi centrali come il divorzio (1974), l’aborto (1981), la legge elettorale (1993), il nucleare (1987 e 2011).

Negli ultimi 50 anni siamo stati chiamati a votare 67 referendum, spesso anche su temi minori o molto tecnici (si pensi a quello del 2016 sulla trivellazione di idrocarburi entro le 12 miglia marine) e così il referendum ha perso molto della sua forza politica

Anche perché sempre più spesso non si è raggiunto il quorum di validità. Infatti, l’art. 75 Cost per garantire la “serietà” del risultato referendario richiede che prima ancora di contare i “Si” e i “No” bisogna verificare che abbia votato almeno il 50% degli aventi diritto.

In un Paese in cui abbiamo un astensionismo di almeno il 30% è ben ovvio che i partiti che vogliono opporsi al singolo referendum non facciamo campagna elettorale per il No, ma piuttosto per non andare a votare, così partendo da un vantaggio naturale del 30% (visto che gli astensionisti sono già con loro!). Come fece Bettino Craxi nel 1991 consigliando gli italiani di andare al mare.

Così 38 dei 67 referendum non sono stati ritenuti “validi” e nei 21 referendum che abbiamo votato dal 2000 in poi soltanto i 4 quesiti del 2011 hanno superato la soglia. Ora 12 giugno siamo chiamati a votare su 5 referendum che non scaldano certo i cuori degli elettori.

Tre quesiti riguardano la riforma della giustizia, ma su aspetti non centrali. Uno la c.d. legge severino e l’ultimo la custodia cautelare. Saremo chiamati a esprimerci:

– sull’incandidabilità, ineleggibilità e decadenza di parlamentari e amministratori locali in caso di condanna. Si tratta di una regola che vuole evitare che i condannati possano ricoprire cariche elettive, ma che ha creato molte polemiche per il diverso effetto sugli amministratori centrali e su quelli locali.

– sulla durata della custodia cautelare, cioè prima del processo definitivo, nei casi di reiterazione del medesimo reato

– sulla possibilità che i magistrati svolgano le funzioni di giudicante e di pubblico ministero, rafforzando la separazione delle funzioni (perché per separare le carriere bisogna modificare la Costituzione)

– sul numero di firme necessarie per il magistrato che voglia essere eletto al CSM

– sulla possibilità di far partecipare anche professori universitari e avvocati nei Consigli giudiziari, cioè sugli organi territoriali che valutano i magistrati.

Si tratta sicuramente di referendum su aspetti minuti del nostro sistema giuridico, ma non dobbiamo dimenticare che il nostro voto è importante. Ancor più nell’epoca dei nuovi mezzi di comunicazione e del digitale che ci allontanano sempre di più dai circuiti della democrazia.

Mi piace su questo ricordare le parole di Giorgio Amendola in Assemblea Costituente, sul senso della democrazia e della partecipazione: “…Sta avvenendo nel nostro popolo qualche cosa di nuovo: … oggi le masse popolari hanno cominciato a partecipare alla vita politica del Paese ed alla soluzione dei problemi nazionali. Si sta compiendo così quella che è stata la più grande aspirazione dei democratici sinceri, che hanno combattuto in altri momenti della vita italiana” (20 marzo 1947).

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