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Dico no al nuovo maccartismo dei diritti civili. Scrive Cazzola

Nei giorni scorsi non ho potuto non sentirmi solidale con Meloni quando, a Cagliari, è stata affrontata da un giovane difensore della causa Lgbtqia+. Sia chiaro, il giovane è stato garbato, non violento e la leader di FdI se l’è cavata con spirito e tolleranza. Pertanto non è l’incidente in sé che mi ha indotto a riflettere…

Giuro che sono vaccinato. Da Giorgia Meloni mi separano tante cose sul piano politico. Anche se è normale che la vita induca nelle persone dei cambiamenti, anche per quanto riguarda le loro convinzioni e la considerazione delle opinioni degli altri, e per il rispetto della persona a prescindere dalle sue idee politiche (ho vissuto in tempi in cui circolava la teoria del’“uccidere un fascista non è reato”); anche se credo possibili le conversioni e confido nella buona fede delle personalità politiche, dal momento che contano solo le azioni, le mie radici non sono piantate nel medesimo terreno in cui lo sono quelle della leader di FdI.

Poi nei suoi confronti non nutro solo dissensi antichi, ma recenti, nei confronti delle scelte politiche che quel partito ha condotto negli ultimi anni e delle proposte che presenta all’elettorato, nonostante gli sforzi di avvicinamento ad un comune sistema di valori. Pertanto io non voterò per la coalizione di centrodestra della quale è parte integrante anche la Lega di Matteo Salvini, un personaggio che giudico negativo e che a mio avviso rappresenta il principale pericolo di una vittoria della destra.

Ciononostante, nei giorni scorsi non ho potuto non sentirmi solidale con Meloni quando, a Cagliari, è stata affrontata da un giovane difensore della causa Lgbtqia+. Sia chiaro, il giovane è stato garbato, non violento e Giorgia Meloni se la è cavata con spirito e tolleranza. Pertanto non è l’incidente in sé che mi ha indotto a riflettere. Appartengo ad una generazione, cresciuta nell’immediato dopoguerra che deve chiedere scusa alle persone omosessuali per aver concorso all’apartheid a cui li aveva condannati l’opinione pubblica. Queste loro propensioni sessuali erano considerate vere e proprie anormalità, da nascondere e negare, come un marchio di infamia. Magari da curare con iniezioni di estratti epatici o per le famiglie che potevano permetterselo con sedute psichiatriche. Non c’era bisogno che venisse accertata la reale condizione, erano sufficienti le sembianze “effemminate”, la buona educazione, il riserbo, la timidezza, per suscitare le maldicenze e gli atti di bullismo e conferire lo stigma dell’omosessualità ad una persona, che diveniva oggetto di scherno e di isolamento.

Nei film di grandi registi della commedia all’italiana l’omosessuale compare come la macchietta, come il personaggio che suscita ilarità. Purtroppo se il “politicamente corretto” ha individuato come negativo questo stato di cose, i fatti di cronaca (soprattutto con riguardo agli adolescenti) testimoniano che gli atteggiamenti di denigrazione non sono venuti meno. Per cui è giusto che le leggi dello Stato forniscano una tutela specifica contro l’omofobia. Le norme devono sanzionare gli atti, ma non possono imporre un modo di pensare, di accettare una regola generale in cui si affermino non solo la libertà e il diritto di scegliersi il proprio modello di vita, ma che divenga per tutti la normalità.

Non è accettabile che le persone contrarie al ddl Zan siano costrette a riconoscersi solo a fianco di Salvini e Meloni, perché a sinistra sono accusati di omofobia se non di razzismo. E che i protagonisti di questi valori siano esposti come una bandiera nelle liste elettorali. Ma su che cosa si basa il concetto di gender? I suoi sostenitori rifiutano i concetti di dottrina e di teoria, ma come si deve definire un pensiero per cui l’identità sessuale di un individuo non viene stabilita dalla natura e dall’incontrovertibile dato biologico ma unicamente dalla soggettiva percezione di ciascuno che sarà libero di assegnarsi il genere percepito, “orientando” la propria sessualità secondo i propri istinti e le proprie mutevoli pulsioni.

È il genere – come emerge nei testi in cui si diffondono queste teorie – che stabilisce, in ultima analisi, l’identità sessuale di un individuo. Non si è uomini e donne perché nati con certe identità fisiche, ma lo si è solo se ci si riconosce come tali. Non ci sono maschi e femmine ma ci sono semplicemente esseri umani, liberi di assegnarsi autonomamente il genere che percepiscono al di là del loro sesso naturale. Le tradizionali categorie di maschi e femmine diventano così dei vecchi clichés, delle categorie mentali superate, inadatte a rappresentare la complessità sociale moderna e per questo vanno rimosse. La parola chiave degli ideologi del gender è “decostruire”, ossia, cancellare la natura, tentando di smantellare pezzo per pezzo, un sistema di pensiero considerato obsoleto e oramai fuori tempo.

Se l’orientamento sessuale viene difeso dalla legge, per quale motivo la teoria dell’identità di genere (ovvero “l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione”) deve trovare posto, in modo arbitrario e truffaldino, nell’ordinamento giuridico alla stregua di un valore comune? Determinando così una vistosa contraddizione: quanto viene percepito diventerebbe reale a norma di legge, mentre ciò che è platealmente reale (il sesso) si trasformerebbe in un’opinione, magari un po’ retrò e a rischio di essere ritenuta una prevaricazione.

Ma ciò che è più inquietante riguarda l’indottrinamento per questa teoria che dovrebbe partire dalla scuola. Ovviamente l’insegnamento scolastico deve educare alla tolleranza, al rispetto degli altri, deve condannare la sopraffazione del diverso, ma non ha il diritto di imporre alle famiglie un’educazione dei figli per la quale “di notte tutte le vacche sono nere”. Se ci guardiamo attorno, laddove queste teorie si sono affermate – il mondo anglosassone – esse sono divenute una forma di persecuzione ideologica che mette al bando coloro che sollevano dei dubbi. Sembra di essere tornati ai tempi della caccia alle streghe o al maccartismo, o per essere più in linea con la storia contemporanea, ai regimi totalitari del XX secolo.

Un giorno varrà la pena di interrogarsi sui nuovi diritti civili e sul loro fondamento e chiedersi se non rispondono alla condotta della Semiramine dantesca che: “libito fè licito in sua legge“. A qualcuno non viene il dubbio che la destra vinca anche per questi motivi?

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