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Proprietà privata e affitti brevi, i paletti costituzionali secondo il prof. Celotto

Cosa cambierà con il disegno di legge proposto dal ministero del Turismo sugli affitti brevi? Ancora è presto per dirlo, ma il costituzionalista Alfonso Celotto ha una certezza: “Il diritto di disporre della proprietà non può essere limitato o compresso in maniera irragionevole, nemmeno con legge”

“Il diritto di disporre della proprietà non può essere limitato o compresso in maniera irragionevole, nemmeno con legge”. Ne è convinto Alfonso Celotto, costituzionalista, sentito da Formiche.net sul cosiddetto ddl Santanché, il disegno di legge che modificherà, se approvato, la situazione per gli affitti brevi, il concetto di “minimum stay”, ossia minimo di notti prenotabili dalle piattaforme online, ma non solo. Già nelle scorse settimane era intervenuto il presidente di Confedilizia Giorgio Spaziani Testa: “A mio avviso – aveva detto – non vi è alcuna necessità di un ennesimo intervento legislativo finalizzato, come tutti i precedenti, a limitare gli affitti brevi”. Il dibattito, insomma, è aperto, e il disegno di legge è solo in una fase iniziale quindi passibile di modifiche.

Professore, impedire ai proprietari di disporre del proprio immobile potrebbe essere contrario alle norme in materia di proprietà privata e di libertà di iniziativa economica, come lamentano le associazioni dei proprietari?

Nella nostra tradizione giuridica, la proprietà è “il diritto di godere e di disporre della cosa nella maniera più assoluta, purché non se ne faccia un uso vietato dalle leggi o dai regolamenti”. Questa è la definizione del codice civile del 1865, il primo codice civile italiano, ancor oggi attuale nella sua base (art. 436). Godere e disporre in via assoluta. Molto chiaro, no? La Costituzione all’art. 42 ribadisce che la “proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge” e che può essere limitata solo in casi di interesse generale e salvo indennizzo. Voglio dire che il diritto di disporre della proprietà non può essere limitato o compresso in maniera irragionevole, nemmeno con legge. Già da molti anni lo ha chiarito bene la Corte costituzionale. Senza indennizzo la proprietà non può non solo essere espropriata, ma neppure limitata (sent. n. 6 del 1966) o sostanzialmente svuotata (sent. n. 3 del 1976). Insomma, non si può comprimere in maniera irragionevole e senza indennizzo la possibilità di godere e disporre dei propri beni, in un modello di stato liberale.

“Salvaguardare la residenzialità” può essere una finalità di interesse generale e superiore tale da limitare il diritto di proprietà privata?

I diritti vanno sempre bilanciati e comparati. Quindi è caso per caso che si può capire come contemperarli. Ma va sottolineato che mentre la proprietà ha una piena tutela costituzionale, la residenzialità è un interesse che non trova radice nella Carta costituzionale. Dobbiamo sempre ricordare che il diritto di proprietà è uno dei diritti più tradizionali del costituzionalismo moderno. Al punto che la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino lo elenca al primo posto fra i diritti, nell’art. 2, accanto alla libertà e lo dichiara “un diritto inviolabile e sacro” nell’art. 17. Questa impostazione ci fa capire che gli Stati democratici contemporanei non possono prescindere da una solida tutela del diritto di proprietà, nella sua pienezza.

A supporto della libertà di disporre dei propri beni anche a fini economici abbiamo anche la libertà di iniziativa economica, pienamente tutelata dall’art. 41 Cost. Come recita la Costituzione l’iniziativa economica “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente,  alla  sicurezza,  alla libertà, alla dignità umana”. Mi pare davvero difficile far rientrare la residenzialità fra i valori e i principi che possono limitare la proprietà e la libertà di iniziativa economica. Senza considerare che una limitazione del genere contrasterebbe anche con i principi del diritto dell’Unione europea.

È prospettabile un danno ai consumatori che si vedono ridurre la possibilità di scelta? Spetta all’Autorità antitrust (Agcm) vigilare? Cosa può succedere?

Nel nostro modello, è proprio l’Agcm che deve vigilare a tutela della concorrenza e del mercato. Lo leggiamo nello stesso titolo della legge n. 287 del 1990 che la ha istituita. L’imposizione di un soggiorno minimo solo per locazioni brevi viola palesemente il mercato e la concorrenza, dei principi costituzionali tra i quali il diritto allo sfruttamento della proprietà privata e la libertà di iniziativa economica. Si tratta, per come leggiamo nella proposta di legge, di una misura anticoncorrenziale e discriminatoria, che altera le dinamiche competitive tra i vari operatori con ricadute negative a danno dei consumatori, ovvero gli ospiti. Agcm può intervenire con pareri e segnalazioni già durante la discussione parlamentare della legge, anche su indicazione di operatori o cittadini. Poi una volta approvata la legge, eventualmente, si potrà pensare anche a ricorsi di proprietari, operatori o ospiti per portare la legge alla Corte costituzionale, che deve in generale garantire il rispetto dei principi della Carta fondamentale. O anche alla Corte di Giustizia dell’Unione europea per i profili di contrasto con il diritto europeo. Non penso che sarebbe una legge con una vita facile, giudiziariamente.

La legge non menziona le stanze. Cosa succede a chi affitta solamente una porzione dell’immobile in cui vive?

Nella bozza di disegno di legge il punto non è chiaro. Sarebbe auspicabile precisare che almeno le singole stanze siano fuori da limiti e divieti anche perché sono micro-attività “di sussistenza”, che non rientrano certo nella imprenditorialità.

Ci sono altri esempi di interventi del legislatore simili a quello che sta ipotizzando il ministero del Turismo?

Mi viene in mente la questione della pasta di grano tenero, di qualche anno fa. La legge italiana imponeva ai produttori italiani di pasta di utilizzare soltanto grano duro, mentre in nome dei principi europei di libero mercato i produttori stranieri potevano produrre pasta anche con il grano tenero e venderla anche in Italia. È stata proprio la Corte costituzionale nel 1987, con la sent. n. 443, a vietare questa “folle” discriminazione anticoncorrenziale, consentendo anche ai produttori italiani l’utilizzo del grano tenero (sent. n. 443 del 1987)

L’eccezione per le famiglie numerose è discriminatoria oppure è una legittima tutela per una categoria delicata?

Anche qui mi pare che la proposta cammini sulle uova. Basta che adotti un paio di figli o faccia venire a vivere in casa i miei nipoti per aggirare i divieti? Mi sembra un’idea inutilmente cerchiobottista. Il mercato non si regola con divieti e deroghe cervellotiche che finirebbero soltanto per complicare la vita ai cittadini, specie a quelli onesti. Non dimentichiamo che secondo dati Istat, le case vuote in Italia sono circa 10 milioni e sono in costante crescita.  Si dovrebbe puntare a recuperare il loro uso mediante incentivi ai proprietari, piuttosto che ostacolare i diritti dei cittadini limitando le locazioni brevi. 

Se la norma che prevede il divieto di pernottamento per una notte dovesse passare, esiste la possibilità che qualcuno possa impugnarla? E in caso, quali soggetti sarebbero legittimati a farlo? Associazioni di proprietari o singoli proprietari?

Una volta che una legge del genere venisse approvata, potrebbe impugnarla ogni interessato. Un proprietario, una associazione o anche un singolo ospite che si vede limitato nella sua libertà. Infatti, va considerato che limitare la possibilità degli affitti brevi crea anche una discriminazione sulla libertà di circolazione e soggiorno, tutelata dall’art. 16 Cost. Non poter accedere a locazioni brevi potrebbe danneggiare la possibilità di pernottare in piccoli centri che non hanno forma di residenzialità alberghiera.

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