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Senza il nucleare non azzereremo le emissioni né in Italia né in Europa. Parla Zollino

“La decarbonizzazione è una sfida da far tremare i polsi, da gestire con sangue freddo, sbagliando il meno possibile e prendendo il tempo che serve a costruire impianti e infrastrutture”, dice Giuseppe Zollino, professore di Tecnica ed Economia dell’Energia e di Impianti Nucleari all’Università di Padova e responsabile energia di Azione. Il partito di Calenda che ieri ha lanciato la campagna “Nucleare? Sì, grazie!”, improntata alla neutralità tecnologica e a un approccio realistico ai bisogni energetici

Ieri Carlo Calenda ha lanciato una campagna di Azione a sostegno dell’energia nucleare con la petizione ‘Nucleare? Sì grazie!’ che chiede al Governo di intraprendere ‘ogni iniziativa per la diffusione nel nostro Paese di reattori nucleari delle migliori tecnologie già oggi disponibili e di quelle nuove, sia a fissione che a fusione, che lo saranno in futuro, in modo che gli obiettivi di decarbonizzazione vengano raggiunti con il mix tecnologico più sostenibile’. Ne abbiamo parlato con Giuseppe Zollino, professore di Tecnica ed Economia dell’Energia e di Impianti Nucleari all’Università di Padova, nonché responsabile Energia e Ambiente di Azione e promotore della petizione insieme con Calenda.

Professore, ci racconta in sintesi il contenuto della petizione di Azione?

Volentieri, ma prima mi lasci dire che la petizione è una chiamata per quella larga parte di Italiani convinti che occorra ridurre le emissioni di CO2 antropiche utilizzando tutte le tecnologie disponibili, senza preclusioni ideologiche; che credono che l’obiettivo sia ridurre la concentrazione atmosferica di gas serra al minimo costo, col minimo consumo di suolo, con il minimo impiego di materiali, in una parola nel modo più sostenibile, e non invece incrementare il più possibile gli impianti delle tecnologie preferite, quali esse siano e che infine pensano che per tutto questo servano numeri, programmazione e pragmatismo. L’obiettivo principale della petizione è perciò mobilitare su un nuovo approccio, che non strizzi l’occhio a chi nega le responsabilità dell’uomo sui cambiamenti climatici ma che al tempo stesso prenda atto che per ripristinare la concentrazione atmosferica di CO2 pre-industriale, se anche domani azzerassimo le emissioni mondiali, servirebbe almeno un secolo; dunque dobbiamo investire molto in adattamento ai cambiamenti climatici già in atto ed a maggior ragione selezionare e programma con estrema attenzione il giusto percorso di riduzione delle emissioni antropiche sino ad azzerarle nel lungo periodo.

Dunque la vostra è una proposta di metodo; ma allora perché una mozione “nucleare? sì, grazie”?

No, non è solo una proposta di metodo. Infatti, proprio dall’approccio analitico che riteniamo ineludibile, dai modelli che consentono di simulare gli scenari energetici italiani senza emissioni di gas serra, tenendo conto di tutte le implicazioni delle diverse tecnologie a bassa emissione, dal consumo di suolo ai materiali necessari, ai costi dell’intero sistema (generatori, sistemi di accumulo, reti), si ricava che senza il contributo dell’energia nucleare sarà proibito centrare gli obiettivi di decarbonizzazione di lungo termine (al 2050 o giù di lì); e certamente il mix rinnovabili più nucleare è il più sostenibile nel senso pieno del termine, perché occupa meno suolo, consuma meno materiali, costa meno.

Un mix rinnovabili più nucleare in che misura?

La strategia italiana di lungo termine per l’azzeramento delle emissioni, pubblicata a gennaio 2021 dal Governo italiano, prevede che al 2050 i consumi finali di energia si ridurranno del 40% rispetto a quelli attuali, nonostante il previsto aumento del PIL, grazie a importanti progressi tecnologici (e investimenti) nell’efficienza energetica. Al tempo stesso oltre la metà di questi consumi saranno elettrici (oggi lo sono per poco più del 20%) poiché nel lungo periodo saranno elettrici i veicoli privati e per il trasporto leggero, i sistemi di riscaldamento, cottura, ecc. Inoltre in alcuni settori, come l’industria pesante o i trasporti di lungo raggio, si utilizzerà idrogeno, prodotto da elettrolisi, quindi con ulteriore fabbisogno elettrico.

In tutto, in Italia si prevede una domanda elettrica tra 650 e 700 TWh (miliardi di chilowattora) più del doppio degli attuali 320. E tutta questa energia elettrica dovrà essere generata senza emissioni di gas serra. Cioè impiegando le tecnologie che la Tassonomia Verde Europea indica come idonee alla decarbonizzazione: fonti rinnovabili e nucleare e, nella fase transitoria, gas naturale. Se teniamo conto delle curve di generazione oraria di fotovoltaico ed eolico in Italia, della loro variabilità e stagionalità, delle caratteristiche di funzionamento delle centrali nucleari e della curva oraria della domanda elettrica possiamo calcolare la potenza complessiva degli impianti a fonte rinnovabile e dei sistemi di accumulo di breve termine e stagionali necessari per un sistema 100% rinnovabile, cioè in tutto tra 700 e 800 GW, e quella da installare nel caso in cui si optasse per un mix di rinnovabili e nucleare, cioè circa 35 GW nucleari, in 6-7 centrali con 4 reattori ciascuna, e circa 350 GW tra rinnovabili e sistemi di accumulo. Una differenza enorme.

Sta dicendo che basterebbero 6-7 centrali nucleari per dimezzare la potenza da installare?

Sì, perché quel 10% circa di potenza nucleare genera oltre il 40% dell’energia elettrica, e la genera in modo continuo (più di 8000 ore all’anno), senza variazioni giornaliere né stagionali, riducendo perciò anche il fabbisogno di sistemi di accumulo di breve termine (per esempio impianti idroelettrici a pompaggio e batterie) e ancor più quelli stagionali (per esempio con l’impiego del surplus estivo per produrre idrogeno, accumulato in appositi serbatoi, e poi utilizzato d’inverno per alimentare pile a combustibile che di nuovo generano energia elettrica). E naturalmente meno impianti significa minore occupazione di suolo e minore consumo di materiali per costruirli. Si consideri, per esempio che una centrale nucleare con 4 reattori, diciamo da 5,6 GW in tutto, necessita di una superficie di circa 200 ettari, incluse le aree verdi di rispetto, e genera la stessa energia elettrica di impianti fotovoltaici su 45 mila ettari oppure di 3500 moderni aerogeneratori da 160 metri di diametro e altezza complessiva 200 metri, da distribuire su 230 mila ettari ventosi (ammesso che siano disponibili).

Per di più, sia fotovoltaico che eolico richiedono impianti di accumulo che a loro volta occupano ulteriore spazio. Quanto ai materiali necessari, si consideri che, come mostra il recente rapporto Unece (United Nations Economic Commission for Europe) a parità di energia elettrica generata, una centrale nucleare richiede 7 volte meno materiali di un impianto fotovoltaico e 3,5 volte meno di uno eolico. L’uso efficiente dei materiali è un aspetto assai rilevante, perché la decarbonizzazione riguarda anche il resto del mondo, che non dimentichiamo dovrà centrare gli stessi nostri obiettivi, ché altrimenti tutto il nostro sforzo sarà privo di senso.

A sentire lei sembra molto più conveniente un mix che includa rinnovabili e nucleare, però c’è chi obietta che il nucleare costa troppo e richiede troppo tempo. È davvero così?

Si deve guardare al sistema elettrico nel suo complesso, non solo al costo di generazione di un singolo chilowattora con le diverse tecnologie a bassa emissione. Considerando i valori dei costi di investimento e operativi indicati dall’Agenzia Internazionale dell’Energia, al 2050 il costo complessivo (considerando tutti gli impianti di generazione necessari, tutti i sistemi di accumulo, tutti i potenziamenti di rete) di un sistema 100% rinnovabile è almeno il 30% superiore al quello del mix che include anche 35 GW nucleari. Dunque non è solo questione di minore impatto, ma anche di minori costi. Quanto ai tempi, è chiaro che costruire un reattore richiede anni. La media mondiale per il tempo di costruzione degli oltre 100 reattori collegati in rete dal 2000 ad oggi è di poco inferiore a 7 anni.

I 4 reattori della centrale costruita dai Sud Coreani negli Emirati, un Paese certamente senza una tradizione nucleare, sono stati costruiti ciascuno in 8 anni, a distanza di un anno uno dall’altro. Dal 2000 ad oggi, tuttavia in Europa abbiamo mantenuto la flotta nucleare esistente (che oggi è ancora la prima fonte di generazione elettrica con il 24%) e imposto quote obbligatorie da fonte rinnovabile, iniettando nel sistema oltre 1000 miliardi di incentivi, che inevitabilmente hanno dirottato sulle rinnovabili tutti gli investimenti. Infatti i reattori avviati si contano sulle dita di una mano con il risultato che il nostro know-how va ora ricostruito. Se vogliamo anche solo mantenere una quota del 25% nucleare in media Ue, a fronte di una raddoppio dei consumi elettrici, al 2050 servirà una capacità dell’ordine dei 200 GW. Dunque è urgente ripartire con gli investimenti per riconquistare capacità produttiva, altrimenti non solo le tecnologie rinnovabili, ma anche quelle nucleari le importeremo dall’Asia o dagli Usa.

E quali potrebbero essere i tempi per arrivare a zero emissioni in Italia?

Nel nostro modello ipotizziamo che entro il 2028-2030 vengano aperti in Italia i primi cantieri nucleari, e che dal 2038-2040 siano collegati in rete i primi reattori. E così avanti sino al 2050-2052 per completare la flotta da 35 GW. Ma non c’è tempo da perdere: i prossimi 5 anni saranno cruciali, perché dovremo allestire tutto l’assetto normativo e regolatorio per esser pronti ad avviare i cantieri per tutti gli impianti di ogni tipo necessari. Non dimentichiamo infatti che per arrivare a zero emissioni non ci servono solo i 35 GW nucleari, ma anche 350 GW di impianti rinnovabili e sistemi di accumulo. E se a qualcuno non piace il nucleare, sappia che l’alternativa sarebbe realizzare in Italia nei prossimi 30 anni tra 700 e 800 GW di impianti a fonte rinnovabile e sistemi di accumulo. Molto peggio, direi.

Giusto per mettere in chiaro che la decarbonizzazione è una sfida da far tremare i polsi, da gestire con sangue freddo, sbagliando il meno possibile e prendendo il tempo che serve a costruire impianti e infrastrutture, che si tratti di un impianto idroelettrico a pompaggio, un grande campo eolico offshore galleggiante o un reattore nucleare. Servono numeri, coraggio e pragmatismo. Slogan e ideologie sono il peggiore dei nemici!

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