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L’Occidente si guardi le spalle dai nuovi Brics. Il commento dell’amb. Stefanini

A Johannesburg Xi Jinping ha conseguito l’obiettivo, dichiarato, di invitare nei Brics sei Paesi che farebbero raggiungere al gruppo un Pil aggregato grosso modo pari a quello del G7. Vedremo quanto si tradurrà in effettivo peso internazionale dei nuovi Brics. I quali sono una sfida internazionale seria che Stati Uniti e Europa devono guardarsi dal prenderla con sufficienza. Scrive l’ambasciatore Stefano Stefanini

I Brics (Brasile, Russia, Cina, India, Sud Africa) si allargano. Il vertice di Johannesburg ha invitato ad unirsi al gruppo a sei altri Paesi: Argentina, Etiopia, Egitto, Iran, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita. Non è chiaro quando e come, probabilmente in tempo per il prossimo vertice cha la Russia intende ospitare a Kazan. Quello che è chiaro è che l’allargamento ampia la rappresentanza geografica, vi fa entrare una componente araba e musulmana in precedenza assente, rafforza il peso economico e, soprattutto, cambia profondamente il gruppo. Resta da vedere come lo cambia e se e quanto il guadagno in massa ne riduca la già sfuggente coesione.

Nelle intenzioni cinesi e russe i Brics – o comunque si chiameranno, l’acronimo diventa anacronistico – sono destinati ora a fare da contraltare al G7 in vocazione tendenzialmente antioccidentale. Nella faglia che divide autocrazie e democrazie il gruppo si sposta ulteriormente sul versante delle prime, anche se il criterio di appartenenza rimane agnostico sui regimi interni. Ci sarà di tutto, dalla teocrazia di Teheran alle democrazie di Argentina, India, Brasile, Etiopia, passando attraverso un arcipelago autocratico, compresa la versione malavitosa e imperial-nazionalista. del Cremlino. Il criterio dell’allargamento è geopolitico non valoriale. Il nuovo formato a undici può legittimamente vantare una buona rappresentatività del mondo non occidentale pur con assenze di rilievo – vengono a mente Nigeria, Messico e Indonesia.

Questa natura era già nel dna dei Brics. Che nascono con due caratteristiche che li distinguono dai grandi Paesi industrializzati di vecchia data occidentali. Questi ultimi erano i beati possidenti, i Brics gli emergenti. Il G7 è fondamentalmente euro-atlantico, più il Giappone. Nei Brics c’erano tutti gli altri continenti. La Russia era in realtà un’anomalia: poco emergente economicamente, tranne che per gli introiti da petrolio e gas, e politicamente con un piede anche nella staffa G8 fino all’espulsione nel 2014. Con la Russia fuori dal G8 (ridiventato G7) si accentuo’ nei Brics la fisionomia di blocco alternativo all’Occidente. Al tempo stesso diveniva sempre più credibile il loro ruolo nell’economia mondiale grazie alla forte crescita di Cina ed India.

I Brics allargati conservano i due caratteri genetici del gruppo: eterogeneità, persino forti rivalità, fra loro e non appartenenza all’Occidente. Si definiscono più per quello che non sono che per quello che sono, a maggior ragione nel momento in cui il gruppo non solo si arricchisce di partecipanti molto diversi fra loro ma aggiunge nuove divaricazioni interne a quelle già esistenti (in particolare fra India e Cina). Non è un mistero per nessuno che Arabia Saudita e Iran, pur in fase di disgelo, si contendono la supremazia nel Golfo e si sono combattute a lungo per procura nello Yemen, con gli Emirati schierati con Riad. Non sarà il collante del gruppo allargato ad impedire a ciascun partecipante di andare per conto proprio quando sono in gioco interessi nazionali, come fa Delhi aderendo al Quad (Usa-Giappone-Australia-India) in funzione apertamente anticinese. Il collante antioccidentale fa buona retorica ma poca politica di sicurezza.

Nelle dinamiche interne l’allargamento è un successo della Cina, spalleggiata dalla Russia. Xi Jinping era andato a Johannesburg per lanciare i Brics come blocco capace di misurarsi con l’Occidente. C’era anche un’implicita aspirazione a ritagliarsi un ruolo di primazia fra gli altri leader. Che, specie Narendra Modi, non hanno alcuna intenzione di riconoscergli ma tant’è, a Xi basta tenerlo sottotraccia. Johannesburg gli permetteva anche di allontanarsi dalla non brillante situazione economica cinese che sta innervosendo i mercati. Ma la motivazione principale dell’attivismo di Xi Jinping in ambito Brics è la logica di cercarvi una sponda nel confronto a tutto campo con gli Stati Uniti.

Il parallelo della guerra fredda Usa-Urss è falsante. Fra Pechino e Washington la concorrenza abbraccia economia, grandi vie marittime, penetrazione commerciale, tecnologie avanzate, energie rinnovabili, terreni su cui Mosca non è mai stata vagamente competitiva. Per converso, Taiwan a parte, la dimensione militare e nucleare, senz’altro presente, è meno pervasiva di quanto non fosse (e sia) nel teatro euro-atlantico. La globalità della sfida in corso fra Washington e Pechino fa sì che abbia ricadute sull’intera comunità internazionale, volente o nolente a lasciarsi coinvolgere nella gara. Di qui la strategia di Pechino di tirare dalla sua parte i Brics e di rafforzarne il peso.

È arduo navigare in solitario nel disordine mondiale, anche per la seconda potenza mondiale. L’Occidente ha già poli di aggregazione forti e strutturati: G7, Nato, Unione Europea. Gli altri no. La Cina punta sui Brics per integrare e arricchire di contenuti economici l’amicizia senza limiti con una Russia dai piedi d’argilla, ergo l’allargamento del gruppo. Nella visione di Pechino e di Mosca, ne farebbe un blocco alternativo all’Occidente, una risposta a quell’ordine liberale internazionale che Pechino contesta – pur essendone stata la grande beneficiaria sul piano economico, industriale e commerciale. La visione degli altri Brics sembra piuttosto quella di una neutralità con grande libertà di manovra individuale, com’era il vecchio non allineamento. Il futuro dei Brics allargati oscilla fra questi due poli.

A Johannesburg Xi Jinping ha conseguito l’obiettivo, dichiarato, di invitare nei Brics sei Paesi che farebbero raggiungere al gruppo un Pil aggregato grosso modo pari a quello del G7. Vedremo quanto si tradurrà in effettivo peso internazionale dei nuovi Brics. Vedremo quanto il gruppo – che opera per consenso, come ha ricordato Modi – sarà compatto, quanto vorrà seguire Pechino e Mosca nel confronto con l’Occidente. Ma la dinamica messa in moto da Xi Jinping a Johannesburg non va sottovalutata. I Brics allargati su impulso cinese sono una sfida internazionale seria. Stati Uniti e Europa devono guardarsi dal prenderla con sufficienza.

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