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Disinfo contro Taiwan. La Cina ci prova con l’isola Tuvalu

Così Pechino diffonde disinformazione su Taiwan: il caso, non caso, di Tuvalu, che forse ha avuto spinte dall’infowar di Nauru. Per la Cina, le isole del Pacifico servono anche a delegittimare Taipei

È dovuto intervenire il vice capo degli Affari dell’Asia orientale e del Pacifico del ministero degli Affari Esteri, Eric Chen, per dire che Tuvalu, Paese insulare del Pacifico, manterrà i legami diplomatici formali con Taiwan. La dichiarazione di oggi segue l’allarme di una possibile rottura delle relazioni ufficiali emerso il 19 gennaio, dopo che in un articolo pubblicato sul Weekend Australian Magazine, Bikenibeu Paeniu, ambasciatore tuvaluese a Taiwan, aveva dichiarato che “fonti” gli avevano detto che il suo Paese avrebbe potuto seguire Nauru e passare al riconoscimento diplomatico di Pechino dopo le elezioni di Tuvalu del 26 gennaio.

Secondo la ricostruzione di Chen, il governo di Tuvalu ha immediatamente chiarito che la controversa dichiarazione di Paeniu non rappresentava la posizione ufficiale del Paese del Pacifico e ha affermato che le relazioni diplomatiche con Taiwan rimangono solide. L’ex primo ministro di Tuvalu aveva invece invitato l’Australia (visto che la sua dichiarazione era stata ospitata da un media di Sydney) e i suoi alleati e partner a seguire da vicino la situazione e ad aumentare il sostegno alla sua nazione.

Secondo un diplomatico che ha parlato riservatamente con l’agenzia taiwanese CNA, Paeniu avrebbe detto al ministero degli Esteri di Taipei che la fonte da cui ha ricevuto informazioni a proposito del suo potenziale cambio di posizione di stivali era originaria di Nauru, altro Paese insulare del Pacifico che ha annunciato il 15 gennaio di voler interrompere i legami con la Repubblica di Cina (Taiwan) per riconoscere la Repubblica Popolare Cinese.

Come noto, il Partito/Stato cinese non permette ai suoi interlocutori di avere relazioni contemporaneamente con Pechino e con Taipei in nome del riconoscimento dell’unica Cina, la Repubblica popolare. È una forma molto efficace di delegittimazione dell’esistenza di Taiwan, dato che la Repubblica popolare cinese è una potenza totale con cui è molto più allettante costruire relazioni esclusive, soprattutto per i Paesi più piccoli. I quali a loro volta non possono permettersi di gestire la pratica secondo l’ambiguità strategica con cui altre nazioni — come l’Italia — riescono a mantenere un doppio filone formale/informale per i rapporti con entrambi. Non a caso, ormai solo 12 Paesi riconoscono Taiwan ufficialmente, tra cui le Isole Marshall, Tuvalu e Palau nella regione del Pacifico.

La Cina sta facendo un lavoro di pressione molto forte per erodere quegli alleati taiwanesi. E dato che Nauru ha appena stabilito legami diplomatici con Pechino, è possibile che Yaren stia lavorando a stretto contatto con Pechino per diffondere disinformazione e fare maggiore pressione su Taipei. Non è un caso se la rottura dei legami tra Taiwan e Nauru è avvenuta due giorni dopo l’elezione a presidente di Lai Ching-te, leader del Partito Democratico Progressista. Pechino lo dipinge come un pericoloso indipendentista, e vuol cercare di dimostrare che questa percezione è diffusa e la sua presidenza sta destabilizzando la posizione di Taiwan a livello internazionale. Un lavorio già avviato con la presidenza di Tsai Ing-wen, democratica entrata in carica nel maggio 2016, che ha fatto segnare un aumento del deterioramento delle relazioni tra le due sponde dello Stretto. Negli ultimi sette anni, Taiwan ha perso dieci Paesi tra coloro che lo riconoscevano.

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