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Così al Senato si è parlato dell’influenza cinese in Italia

Dal supporto degli Istituti Confucio alla penetrazione culturale e accademica di Pechino, al rapporto commerciale “impari”, arrivando al ruolo dei grandi progetti infrastrutturali. Ecco di cosa si è parlato al convegno tenutosi al Senato

Il 6 marzo si è svolto in Senato il convegno “Italia, Europa, Cina: influenze accademiche e squilibri economici” promosso dal senatore di Fratelli d’Italia Giulio Terzi di Sant’Agata, presidente della Commissione Affari europei ed ex ministro degli Esteri, e da alcune organizzazioni per la promozione dello Stato di Diritto (Federazione Italiana Diritti Umani, Fondazione Luigi Einaudi, Comitato Globale per lo Stato di Diritto “Marco Pannella” e The Global News). Introducendo i lavori del convegno, Terzi ha dichiarato: “C’è un comune denominatore nei temi trattati nei due panel. Il primo riguarda le libertà accademiche attraverso influenze esercitate non per ampliare l’orizzonte di libertà ma piuttosto per limitarlo; per proporre una narrativa strumentale e deviata, per condizionare la conoscenza e riscrivere la storia. Il secondo riguarda l’economia delle infrastrutture marittime, un settore assolutamente vitale perché conosciamo bene i principi della fusione civile e militare che sono da molti anni propri alla strategia cinese che dimostra caratteri molto più aggressivi e non soltanto competitivi; spesso antagonisti nei confronti delle nostre società”.

Come ad esempio la rete degli Istituti Confucio all’interno degli atenei italiani, questione su cui si interrogano anche altri Paesi europei. Tali istituti non sono solo semplici centri culturali della Repubblica popolare cinese ma, come nota il senatore, “di fatto essi sono il braccio operativo del soft power cinese, la longa manus di sistemi di propaganda, di censura e di raccolta dati. Non sono l’equivalente del Goethe Institute, British Council, Alliance Francaise o degli istituti di cultura giapponese. La storia insegnata negli Istituti Confucio sulla Cina imperiale, sul Tibet, su Taiwan, su Hong Kong, per non parlare del massacro di Piazza Tienanmen – totalmente rimosso – è una storia riscritta, falsata dalla propaganda e dall’agenda autoritaria di Xi Jinping. L’Italia è un unicum purtroppo in Europa perché nessuna università del nostro Paese ha chiuso anche solo uno dei sedici Istituti Confucio né ridotto i rapporti con loro”.

Un altro quadro allarmante risulta dal rapporto commissionato dal Parlamento europeo sulle strategie cinesi volte a sfruttare a proprio vantaggio le potenzialità che le infrastrutture europee, in particolare i porti. Vi sono molti segni allarmanti anche rispetto all’interscambio complessivo fra Europa e Cina. “Pechino adotta una politica aggressiva che produce uno squilibrio commerciale determinato da un rapporto che è sempre meno un partenariato tra eguali perché sempre più a favore di chi non rispetta le regole. Nelle parole di Borrel lo squilibrio commerciale fra Ue e Cina è ‘abissale’. Perciò è fondamentale mettere in sicurezza le catene di approvvigionamento rendendole compatibili con le esigenze fondamentali della nostra sicurezza nazionale” ha ribadito Terzi, che ha concluso il suo intervento dicendo: “Si devono rivedere i fondamentali imperativi di sicurezza e di reciprocità di una partnership strategica che negli accordi fra Europa e Cina viene definita come tale, ma che di fatto è sempre più monodirezionale”.

Tra i temi discussi il ruolo della diplomazia scientifica di cui Pechino ha tratto beneficio sottraendo informazioni e dati impiegati nel “dual use” civile e militare. In proposito, un esempi è la decisione del governo federale canadese di pubblicare linee guida nella cooperazione scientifica con Paesi sensibili che esercitano influenze ed ingerenze ostili. Il senatore francese André Gattolin, relatore di un rapporto del Senato sulle influenze straniere in Francia, ha sottolineato come sia emerso rapidamente che la Cina “non è l’unico Paese autore di interferenze, ma è quello più potente, con un modus operandi proteiforme e sistemico che induce alcune università francesi ad agire in modo totalmente contrario al principio della libertà accademica”.

Ma si è parlato anche della dipendenza sempre più marcata da parte di numerose università britanniche, e della necessità di parlare non più di libertà della ricerca, ma libertà e sicurezza della ricerca, evidenziando il carattere impercettibile delle attività di influenza e ingerenza da parte cinese che si rivelano meno grossolane di quelle di altri Stati, a cominciare dalla Russia. Sul tema delle infrastrutture è stato evidenziato come, a differenza di quanto succede nel libero mercato, gli scambi e le relazioni economiche con la Cina spesso prendono forme opposto a quelle del libero mercato.

La Via della Seta è un esempio perfetto di questo concetto, non essendo un normale insieme di progetti di cooperazione e sviluppo con Paesi terzi, quanto piuttosto un progetto di esportazione di un modello autoritario, in diretta competizione con il mondo delle democrazie liberali, in una competizione soprattutto politica ancor prima che economica. Competizione che rischia di mettere a repentaglio le supply chain a cui si affida l’Occidente. I rischi di inasprimento della competizione sistemica e di aggravamento della minaccia ai sistemi e ai valori delle democrazie liberali sono dunque reali ed è per questo che “è necessario un rafforzamento della leadership tecnologica basata sui principi della libertà e della sicurezza” è stato il commento di Terzi.

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