Skip to main content

Come e perché in Germania spira un vento protezionista contro la Cina

“Se vogliamo giocare nella serie A allora dobbiamo battere la concorrenza sulla qualità però e non sulla quantità”. Così diceva Angela Merkel nell’autunno del 2005 appena eletta cancelliere. La Germania allora era ancora a metà del guado, gli effetti delle riforme dello Stato sociale che erano costate il posto al suo predecessore, il cancelliere socialdemocratico Gerhard Schröder, ma avrebbero iniziato a dare i loro frutti da lì a poco. Merkel evidenziava una strategia di competitività che gran parte delle imprese tedesche avevano già attuato negli anni della crisi. Tagli dei costi, aumento dell’efficienza e della produttività e investimenti in settori altamente tecnologici. Tutto questo aveva richiesto fatica e un tasso di disoccupazione al 10 per cento per anni. Ma alla fine era arrivata la svolta e il grande malato era tornato ad essere quello che tutti si auguravano: la locomotiva dell’Europa.

Undici anni dopo, la ricetta Merkel è stata fatta propria anche dai cinesi. Nel 2014 Pechino aveva dato il via alla campagna acquisti, spronando i suoi imprenditori ad assicurarsi importanti fette del mercato produttivo mondiale. Meglio se ad altissimo contenuto tecnlogico, visto che è di tecnologia che il sistema produttivo del Dragone ha ora bisogno. Il costo del lavoro è aumentato, tanto che la Cina a sua volta ha iniziato a fare outsourcing in paesi con manodopera a più basso costo.

Certo se al paese riuscisse la rivoluzione “Industria 4.0” e “Made in China 2025” si realizzerebbe il connubio perfetto tra “produzione di massa e altissimo contenuto tecnologico”.

Visto questo piano strategico, e ovvio che la tecnologia tedesca è tra le mire principali dei cinesi. E i tedeschi per un po’ li hanno lasciati fare shopping. Ma adesso in Germania inizia a farsi strada la preoccupazione. Soprattutto dopo l’annuncio dell’ultima offerta d’acquisto: si tratta del costruttore di robot Kuka. I cinesi di Midea sono disposti a tirar fuori la somma di 4,5 miliardi di euro per aumentare la loro partecipazione dal 13,5 al 30 per cento. Se l’affare andasse in porto sarebbe il più grande investimento cinese sino a oggi fatto in Germania.

I PIANI DI GABRIEL

Ma non è detto che Kuka finisca veramente nelle mani del Dragone. Nei tedeschi sembra essersi svegliato una sorta di patriottismo economico. O, più precisamente, nel ministro dell’Economia e capo dell’Spd Sigmar Gabriel. Il quale, come si leggeva sui portali del settimanale Zeit e delle news Tagesschau un paio di giorni fa, ha fatto sapere che si sta studiando anche un piano alternativo per non dismettere l’alta tecnologia tedesca. L’alternativa sarebbe una cordata nazionale. Stando a quel che scrive Tagesschau, Gabriel avrebbe già preso contatti con alcuni grandi gruppi tedeschi di componentistica per automobili e anche con Siemens. Quest’ultimi però non sarebbero interessati, ha fatto sapere una fonte interna.

LA LISTA CINESE DELLA SPESA IN GERMANIA

Gabriel non si da però ancora per vinto. E’ dell’avviso che i cinesi abbiano comperato già abbastanza. E in effetti la lista delle spese già effettuate è lunga. Sul sito del canale n-tv si trova un elenco dettagliato. Nel 2002 il gruppo Sany comperava per 360 milioni di euro il costruttore di pompe per il calcestruzzo Putzmeister; sempre quell’anno il costruttore di muletti Kion cedeva per 700 milioni di euro a Wachai il 25 per cento delle sue quote, pacchetto nel frattempo salito al 38 per cento, il che equivale a 1,8 miliardi di euro. Anche Thyssenkrupp, nonostante il dente avvelenato per il dumping cinese nel settore siderurgico, ha ceduto a Wisco il comparto di lamiere ad alto valore aggiunto “Tailored Blanks”. Daimler Benz ha venduto loro invece sette delle sue rivendite situate nella Germania orientale. Ma è soprattutto quest’anno che i cinesi hanno deciso di giocare forte.

GLI ALTRI AFFARI DI PECHINO IN TERRA TEDESCA

All’inizio di quest’anno, infatti, la ChemChina ha comperato per 925 milioni di euro uno dei gioielli del settore dei macchinari industriali, la Krausmaffei specializzata in macchinari da spruzzo per la plastica. Solo un paio di settimane dopo è stata la volta dell’inceneritore “Energy from Waste”: prima di E.on e poi della finanzia svedese EQT, ora alla Beijing Enterprise, che con 1,8 miliardi di euro, ha battuto sul prezzo la finlandese Fortum e la tedesca Steag. Sempre in ambito ambientale, per i cinesi particolarmente importante, c’è ancora aperta un’offerta d’acquisto per lo specialista del riciclaggio Scholz, e visto che il prezzo non pare in questo caso un problema, si legge sui media, è probabile che anche qui i cinesi riuscireanno a battere l’altro offerente, l’americana Private Equity Investment Company KKR.

CHI E COME CRITICA L’OFFENSIVA CINESE

Ma è proprio il fatto che i capitali cinesi paiono non avere limite, a mettere in allarme per esempio Jörg Wuttke, presidente della Camera di commercio europea a Pechino. A suo avviso, alla lunga, la vendita delle imprese a più alto contenuto tecnologico può rappresentare un rischio per l’Europa. Alla Tageschau Wuttke diceva: “Abbiamo in mano uno studio, una visione cinese: ‘Cina 2025’. L’obiettivo è chiaro: ‘Made in China’. Fatto dai cinesi per i cinesi in molti settori strategici per il futuro: dalla tecnologia dei semiconduttori, ai robot, alle nuove automobili a batteria. C’è poi da chiedersi: da dove arrivano tutti questi soldi?Sono frutto di una imprenditoria particolarmente capace o invece molto sostenuta dallo stato? Fino a ora abbiamo fatto buone esperienza con i cinesi. Ma non è detto che resti così per sempre anche in futuro”.

CHI NON SBUFFA CONTRO I CINESI

Paure che non condivide però il Ceo di Daimler Dieter Zetsche, il quale ha affermato che fino a ora non ci sono mai state brutte esperienze nella collaborazione con imprese e fornitori di proprietà totale o parziale cinese. Dello stesso avviso è anche Hubert Lienhard capo della commissione Asia-Pacifico dell’Economia Tedesca (APA). “Non mi pare proprio che si sia di fronte a una svendita dell’industria tedesca”. E ovviamente non lo pensa il proprietario di Kuka Till Reuter. Il quale vuole portare la sua impresa a essere numero uno al mondo e lo potrà essere solo in partnership con il Dragone. La partita tra innovazione digitale e sviluppo di nuovi software si gioca al momento tra Germania e la Silicon Valley. Chi tra i due vincerà la gara si potrebbe decidere però in uno dei paesi emergenti. Li dove si producono anche le quantità maggiori: in Cina, appunto.

LE ULTIME CRITICHE CONTRO PECHINO

Certo alcune operazioni, come l’acquisto attualmente in corso del aeroporto Frankfurt Hahn, non lasciano tranquilli. C’è chi dubita della serietà dell’acquirente, la Shanghai Yiqian Trading Company e crede che l’operazione sia finalizzata esclusivamente a intascare i 70 milioni di euro di sovvenzioni pubbliche previste fino al 2025 per il suo ammodernamento. Inoltre molti imprenditori tedeschi lamentano le rigide regole che la Cina impone a chi vuole investire sul proprio territorio. E’ vero che attualmente già 5500 imprese tedesche si sono stabilite in Cina, ma dovendo combattere con paletti che invece un imprenditore cinese non ha se investe in Germania, dove deve semplicemente sottostare alle regole imposte anche agli imprenditori tedeschi.

Lienhard si aspetta per questo che Merkel durante la sua visita, che inizierà domani in Cina, chieda l’abbattimento di alcune di queste barriere. Certo un discorso ora più difficile da fare, visto l’intervento a gamba tesa del ministro Gabriel nelle trattative di acquisto dell’azienda robotica Kuka.

Exit mobile version