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La guerra commerciale fra Trump e Xi non piace a mercato e Goldman Sachs

Non sarà una “guerra commerciale”, come i due governi coinvolti dicono cercando di tranquillizzare i mercati, ma la Cina ha risposto in rappresaglia senza far passare nemmeno 24 ore dall’annuncio diffuso dal dipartimento del Commercio americano. Pechino non ha perso tempo nel contrattaccare Washington, che ieri aveva reso pubblica la lista degli oltre mille prodotti cinesi che saranno colpiti dalle nuove tariffe commerciali americane.

La televisione di stato in Cina ha diffuso un comunicato del governo in cui si spiega che ci sarà un totale di 50 miliardi di dollari l’anno di export statunitense che subirà un innalzamento dei dazi doganali del 25 per cento: tra questi le automobili, alcuni prodotti chimici, i semi di soia. La soia è un marker interessante (che vale da sé 14 miliardi l’anno): molti agricoltori americani hanno il proprio business vincolato all’esportazione in Cina della soia, e per questo il prezzo del legume è precipitata drasticamente nel giro di pochi minuti dall’annuncio di Pechino (lo screenshot sotto riportato è stato preso dalla Bloomberg).

D’altronde, la Xinhua, la potente e diffusissima agenzia stampa governativa cinese, era stata piuttosto esplicita: il pezzo che raccontava della pubblicazione delle lista preparata dall’amministrazione Trump sui prodotti cinesi colpiti era accompagnato da un’immagine che riprendeva un broker di New York con le mani in faccia (la foto era stata scattata durante il tonfo di 700 punti subito dal New York Stock Exchange il 22 marzo, giorno in cui il presidente Donald Trump aveva annunciato la decisione di alzare i dazi su un valore pari a 50 miliardi tra i prodotti che la Cina esporta annualmente negli Stati Uniti).

Meglio di un’infografica, programmatica: Pechino manda un segnale chiaro. Se voi ci colpite, noi faremo lo stesso, mettendo in crisi interi settori dell’economia americana (l’agricoltura collegata alla soia, per esempio). Durante una conferenza stampa che il governo cinese ha organizzato rapidamente dopo l’annuncio dei contro-dazi, il vice ministro delle finanze cinese, Zhu Guangyao, ha però assunto toni lievi. È tornato sull’aspetto “guerra commerciale” e ha detto: “Sarebbe una sconfitta”. La cooperazione è l’unica scelta giusta per entrambi i paesi, ha insistito Zhu, dicendo che la Cina vuole risolvere i problemi con l’America in modo costruttivo.

Ma è ormai palese che si tratta di una postura necessaria: sia per interesse (la Cina vuole mantenere aperti i suoi scambi), sia (sopratutto?) per immagine. Pechino vuol passare da vittima agli occhi del mercato libero – non inerme, certo, perché sta costruendo la propria deterrenza a tutto campo: alle parole del vice ministro vanno infatti abbinate quelle ben più aggressive uscite dagli Esteri, dove il portavoce del ministero ha dichiarato che “coloro che tentano di far arrendere la Cina attraverso pressioni o intimidazioni non hanno mai avuto successo prima, e non avranno successo ora”.

La Cina cerca di costruirsi un ruolo da honest broker con le controparti internazionali. Washington invece, vuol sottolineare come la crescita economica cinese sia frutto di politiche scorrette, che vanno dalla fallosa presenza del governo dietro al business, alle attività di spionaggio industriale.

È proprio partendo da questo presupposto che Trump ha mosso le sue armi doganali per colpire la Cina, rea non soltanto di avere un rapporto commerciale nettamente squilibrato a proprio vantaggio con gli Stati Uniti (e con dozzine di altri paesi), ma anche di sfruttare attività clandestine sponsorizzate dal governo per spingere i propri progressi.

Soprattutto in ambito tecnologico, dove gli americani da tempo denunciano i furti di proprietà intellettuale. È così che le nuove tariffe sono da leggersi più come sanzioni che come adeguamenti commerciali, colpendo una vasta gamma di prodotti (dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, alla robotica, fino a composti dell’uranio impoverito, e a un’ampia gamma di vaccini e prodotti medicali, e poi pneumatici per aeromobili, acciaio inossidabile e alluminio di varie dimensioni, pneumatici per aeromobili, lavastoviglie domestiche e commerciali, scaldabagni, macchinari per cucito).

Alla domanda se i mercati globali stiano ora osservando ufficialmente una guerra commerciale a tutto campo, il chief global equity strategist della grande banca di investimenti americana Goldman Sachs, Peter Oppenheimer, ha detto alla CNBC: “Penso che sia chiaramente una battaglia commerciale, per lo meno. E penso che l’ansia che il mercato sta riflettendo è che questa potrebbe degenerare in una guerra (commerciale) generalizzata”. Il Dow Jones sta perdendo punti, così come lo yuan si sta svalutando.

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