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Schermaglie di dicembre

Dalla sua nascita Internet ha avuto una fama ambigua, per non dire schizofrenica. Nuova agorà o ultima frontiera della massificazione? Gli intellettuali si dispongono in campo verso la modernità, come già notava Eco, dividendosi fra “apocalittici” e “integrati”. Più si va avanti e più il dibattito, sempre abbastanza sterile, si estende alle novità che animano il web: da Second Life a Youtube all’immancabile Facebook, scoperto ormai persino da quel ceppo di analfabeti informatici che sono normalmente gli intellettuali italiani.
Un esempio di questi atteggiamenti ci arriva dall’ex-cantore delle luminose sorti dell’autonomia italiana, Franco Berardi, detto Bifo. In una pastorale, intitolata un po’ melodrammaticamente “Tutti devono sapere che Facebook è una trappola”, Bifo cerca di dimostrare, ovviamente via Internet, che i social network non sono un’evoluzione neutra della comunicazione online. Al contrario costituiscono una forma di riduzionismo esiziale per le possibilità libertarie dell’individuo. È una nota paradossale da uno che fu tra i primi a interessarsi delle possibilità che l’intelligenza collettiva della rete offriva ai propri utenti.
 
A turbare Bifo è il concetto di alienazione: in un primo momento Internet ai suoi occhi costituiva la possibilità di un tessuto cognitivo puro, un’esperienza disallineata della comunicazione. In questa prospettiva il Web 2.0. Il sito personale infatti era ancora organizzato su base esplicativa: in fondo l’utente non faceva altro che presentare le proprie idee e le proprie passioni, come in un giornale. Il sito riguardava quindi lo scambio di informazioni e non metteva in discussione né la nozione di identità né la realtà filosofica che essa si porta dietro. Gli utenti dialogavano, secondo Bifo, su base paritaria e democratica, mantenendo ferma la propria coscienza individuale.
L’originale potenzialità si è persa dentro Facebook, e probabilmente anche nella forma diaristica del blog, nel momento in cui non solo l’individuo irrompe con le proprie pulsioni nella pagina da lui creata, ma manifesta anche la tendenza a crearsi molteplici identità parallele. La nozione stessa di alienazione è messa in discussione. La soggettività forte, centro indiscutibile per la generazione di Bifo, cede il passo a un’identità liquida, compresa in un continuo gioco teatrale. In altre parole gli utenti Facebook non hanno timore di rinunciare a una parte di identità per guadagnare l’opportunità di comunicare.
Questo semplice fattore per un pensatore ancora legato al marxismo, anche se riletto in salsa post-strutturalista, rimane un limite invalicabile. L’essere umano verrebbe a ridursi ad una serie di maschere che si ripetono all’infinito in quella che Bifo definisce “identità di sciame”, eppure il continuo gioco con l’identità non è un fattore liberatorio trascurabile sulla scena sociale. È paradossale che un libertario come Bifo non si renda conto che l’identità molteplice consentita da Facebook sfugge proprio a quelle qualificazioni rigide che gli stessi contestatori degli anni ‘70 attribuivano all’individualismo borghese.
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