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Quando l’aiuto è un’arma impropria

Chi crede nei prodigi del libero mercato, crede anche nella meritocrazia: stabilite le regole, tutti giocano ad armi pari e vinca il migliore! Tuttavia, alla partenza, non tutti i partecipanti possiedono armi di eguale potenza. Affinché la concorrenza generi l’efficienza attesa, deve quindi affiancarsi una politica per garantire che la dotazione bellica di ognuno sia adeguata. Dimostrato dalla teoria economica che un intervento per garantire l’equità delle condizioni di partenza non pregiudica il raggiungimento di un equilibrio concorrenziale, l’Ue eroga e autorizza aiuti, finanziamenti diretti e minori oneri per chi è penalizzato per il fatto di svolgere attività economiche che non sono remunerate per tutto il valore, non solo quello privato, che generano (es. agricoltura, ricerca, cultura) oppure che sono localizzate in territori distanti, non solo geograficamente, dai mercati europei e globali (es. politica di coesione). Ma attenzione. C’è un limite oltre il quale l’aiuto può diventare un’arma impropria a danno di chi, pur operando nello stesso mercato, fa affidamento esclusivamente sulle proprie risorse senza beneficiare di alcun sostegno esterno.
 
Ecco quindi che la Commissione, istituzione sovranazionale e interessata al funzionamento del mercato europeo, sorveglia sugli aiuti concessi dai soggetti pubblici dei 27 Paesi. Alterando le regole della concorrenza (danneggiando chi opera senza agevolazione e ritardando l’uscita dal mercato di un’impresa inefficiente) un aiuto ingiustificato o superiore a quanto ritenuto necessario per colmare un divario di opportunità è vietato dall’Ue.
Perché aiutare un’impresa oltre quanto efficiente e quindi legittimo? In tempi di competizio- ne globale crescente è di moda sbandierare una politica industria- le improntata sul sostegno dei “campioni nazionali”. Quanto “campioni” possono essere le imprese, un tempo di proprietà pubblica e in regime di monopolio prima dell’ondata di liberalizzazio- ne, che mostrano una scarsa tendenza all’efficienza? Quanto è importante difendere, nel nostro caso, l’italianità dell’offerta? Basterebbe credere nell’efficacia della regolazione che dovrebbe guardare al prezzo e alla qualità del servizio erogato e non alla bandiera dell’impresa.
Da non dimenticare infine che un aiuto pubblico penalizza il cittadino sia come contribuente che come consumatore, in quanto si tratta di una misura finanziata dalla fiscalità generale che riduce la concorrenza e porta, solitamente, a prezzi più elevati. Contrariamente a quello che si può pensare, l’Italia è tra i Paesi più virtuosi in questo ambito.
Se consideriamo gli aiuti di Stato, escludendo soltanto quelli destinati al settore ferroviario, l’Italia ha ridotto notevolmente il suo interventismo nei mercati nazionali: dall’1,2% del Pil nel 1996 allo 0,4% del 2008. Questo percorso virtuoso è sottolineato maggiormente nel caso in cui andiamo a sommare agli aiuti del 2008 quanto i governi hanno destinato, sempre dopo l’approva- zione della Commissione europea, al sistema finanziario considerata l’emergenza della recente crisi.
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