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Anche l’Ue fronteggia la sua casta

Tra le recenti proposte della Commissione: una riduzione del personale di tutte le istituzioni del 5% nel periodo 2013-17, un incremento dell’orario di lavoro minimo settimanale da 37,5 a 40 ore senza adeguamenti salariali a titolo di compensazione, un aumento dell’età pensionabile da 63 a 65 anni (con possibilità di continuare a lavorare fino a 67 anni), un contributo di solidarietà sul reddito e una riduzione del 18% degli stipendi del personale amministrativo neo-assunto.
 
Poco si è fatto sul fronte delle retribuzioni degli eurocrati perché, per assumere personale altamente qualificato, le istituzioni dell’Ue competono con altre organizzazioni internazionali, servizi diplomatici nazionali, imprese multinazionali, studi legali e di consulenza (già si riscontrano difficoltà nel rispettare le quote geografiche per l’assunzione: negli ultimi concorsi dell´UE il tasso di partecipazione di cittadini inglesi, francesi e tedeschi è sceso molto al di sotto dei valori che corrispondono alle dimensioni dei loro Paesi).
 
L’argomento è tanto delicato che si teme non ci sia quella auspicata armonia istituzionale necessaria affinché tale proposta sia approvata velocemente dal Parlamento e del Consiglio. Il segnale è arrivato con l’inizio del nuovo anno dal Consiglio il quale si è rifiutato di ridurre gli stipendi dei funzionari europei secondo quanto proposto dalla Commissione che ha applicato semplicemente le regole: l’adeguamento annuale è calcolato ogni anno da Eurostat in funzione dell’aumento o della riduzione degli stipendi dei dipendenti pubblici di otto Paesi (Germania, Francia, Regno Unito, Italia, Spagna, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo). I funzionari europei condividono quindi la stessa sorte dei loro colleghi nazionali.
 
Per quest’anno, gli stipendi dei dipendenti pubblici sono aumentati in cinque Paesi e diminuiti in tre (tra i quali l’Italia); in media, i funzionari pubblici nazionali hanno perso l’1,8% del loro potere d’acquisto. Per i funzionari europei, la Commissione ha quindi proposto al Consiglio la stessa diminuzione: un taglio dell’1,8% in termini reali, in caso di inflazione al 3,5%, come in Belgio, si tradurrebbe in un adeguamento nominale di soltanto l’1,7% dello stipendio.
Adesso bisogna aspettare come la Corte si comporterà nel dirimere lo scontro tra Commissione e Consiglio sull’adeguamento degli stipendi.
 
Ma anche se l’attività di governo dell’Ue non è direttamente monitorata dai mercati finanziari e dalle agenzie di rating come nel caso dei singoli Paesi, rimane l’urgenza di dare un segnale di rispetto nei confronti del cittadino europeo.

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