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I dolori del giovane worker

Dopo le prime riforme del governo Monti, è ora il tempo delle questioni spinose. Il lavoro è tema sensibile, pilastro formale del nostro testo costituzionale e terreno paludoso del nuovo scontro politico. La protezione del posto di lavoro, ontologicamente oltre il pentapartito (a sinistra, ovviamente), ha fatto della contrapposizione capitale-lavoro più una scenografia per il nostro Sessantotto (con la drammaticità e il paradosso descritto da Pasolini in La battaglia di Valle Giulia) che un’occasione di costruttivo dibattito tra socialismo e liberismo. La novità si impone: non per cominciare il mancato dibattito, quanto perché ci sono più risorse per garantire posti di lavoro indipendentemente dalla loro effettiva produttività, misurata su scala globale, e c’è chi sogna la flexicurity danese con un mercato più flessibile e con maggiore tutela per il lavoratore.
Anche gli altri Paesi europei si pongono il problema e infatti lo scorso vertice dei capi di Stato e di governo (Consiglio europeo del 30 gennaio scorso) ha dichiarato che, oltre l’impegno volto a correggere gli squilibri di bilancio, è necessario quello per promuovere la crescita e l’occupazione. Nei 27 Paesi ci sono quasi 24 milioni di disoccupati; il dato che preoccupa è che quasi uno su quattro ha meno di 25 anni. Se il tasso di disoccupazione complessivo è arrivato al 9,9%, quello giovanile cresce di più e oggi è al 22,1%.
Se consideriamo i dati sulla disoccupazione giovanile riferiti al mese di dicembre del 2006 e del 2011, emerge chiaramente il drammatico peggioramento di Spagna e Irlanda, la preoccupazione crescente in Italia e costante in Francia, e la virtù tedesca in grado di ridurre il tasso dal 12,9% del 2006 (superiore a quello irlandese) al 7,8% (tra i 27 si avvicina solo l’Austria con l’8,2%).
In tempi di crisi, sono i giovani ad essere maggiormente penalizzati. Sono relativamente meno specializzati ed è più facile liberarsene rispetto ai dipendenti più anziani. Le conseguenze dirette e indirette sono l’emigrazione (spesso un brain-drain che mina un’economia basata sulla conoscenza), il crimine (esistono studi in tal senso soprattutto per il caso britannico e francese) e psicologici (la disoccupazione determina infelicità oltre la mera perdita di salario) e sottoccupazione (dopo un lungo periodo di disoccupazione, si è disposti a prendere il primo lavoro disponibile non sfruttando al meglio le effettive potenzialità).
Essendo questo un ambito in cui è ancora forte la sovranità nazionale, i ventisette si sono reciprocamente impegnati a indicare, ciascuno nel proprio programma nazionale di riforma (strumento chiave della Strategia Europa 2020 per la competitività dell’Ue), misure concrete la cui attuazione sarà soggetta a un monitoraggio rafforzato nel quadro del semestre europeo.
Tra queste misure vengono suggerite: maggiore relazione tra produttività e salario; minori costi indiretti del lavoro (il cosiddetto cuneo fiscale); intensificare gli sforzi per promuovere la prima esperienza lavorativa dei giovani e la loro partecipazione al mercato del lavoro; accrescere il numero di apprendistati e tirocini per assicurare che essi rappresentino opportunità reali per i giovani (ove possibile integrati nei programmi di istruzione); sfruttare il portale della mobilità professionale Eures per facilitare collocamenti transfrontalieri di giovani; aprire i settori protetti attraverso l’eliminazione di restrizioni ingiustificate ai servizi professionali e al settore del commercio al dettaglio.
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