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#Cossiga Quattro passi intorno al Muro

“Io fui tra i primi, insieme ai militari francesi, americani e britannici, a passare il Muro di Berlino al check point Charlie. Ed assistetti in diretta alla sua ultimazione, con le finestre dei palazzi sulla linea di confine che venivano murate sotto i miei occhi”.
Nell’estate 1961, Francesco Cossiga si trovava in Germania ovest: un caso ha voluto che fosse testimone dell’innalzamento del Muro di Berlino e, ventotto anni dopo, osservatore del suo crollo dal Colle istituzionale più alto d’Italia. Il presidente emerito è celebre per le sue “picconate” che in realtà altro non erano che avvisi sugli effetti che in Italia avrebbe provocato l’abbattimento del più importante simbolo di un’epoca geopolitica, quella della divisione del mondo in due blocchi.
 
Presidente, che ci faceva in Germania nel lontano 1961?
Ero vicino a Bonn, alla Politische Akademie, la scuola politica della Cdu: seguivo la carovana elettorale di Konrad Adenauer. Era in quei giorni che iniziava la costruzione del Muro. Fui chiamato dalla Dc e mi fu chiesto di andare a vedere cosa stava succedendo a Berlino. Partimmo da Francoforte con un aereo messo a disposizione dai britannici. Giungendo all’aeroporto di Berlin-Templehof rimasi colpito dalla schiera di mitragliatrici poste ai bordi della pista. In quei giorni, i sindacati e i partiti di Berlino ovest minacciavano di forzare il Muro. Le misure di sicurezza divennero soffocanti.
 
Era preoccupato?
Tenga presente il gran numero di precauzioni. Viaggiavo insieme al vicepresidente del Parlamento svedese e al corrispondente della Wiener Presse ed eravamo scortati da due blindati. Su uno di questi svettava un ufficiale dal tipo aspetto marziale britannico, con i baffi tirati all’insù, e il foulard – ricordo ancora – verde  che contraddistingueva il suo corpo di appartenenza. Al check point Charlie i carri sovietici e quelli della Volksarmee, l’esercito tedesco-orientale, brandeggiavano il cannone a torretta chiusa. Pensare che dall’altra parte, i soldati americani se ne stavano a bere Coca-Cola e ad ascoltare musica rock…
 
Cosa vide a Berlino est?
Là girammo con una macchina messa a disposizione dalla nostra ambasciata a Bonn. Non eravamo gli unici occidentali, perché gli sconfinamenti di militari erano continui, erano una forma di protesta ritualizzata contro la decisione sovietica. Per strada eravamo scortati davanti e dietro da due vetture della polizia e nei luoghi pubblici eravamo controllati a vista. Nonostante questo, prima di rientrare nella parte occidentale, fummo avvicinati da due uomini che, in perfetto italiano, ci chiesero se avevamo parlato con qualcuno o se avevamo avuto informazioni particolari. Non c’erano dubbi: erano agenti dei servizi di Bonn.
 
Quando il Muro fu abbattuto dove si trovava?
Ero al Quirinale: stavo vedendo la Cnn. Era chiaro che qualcosa, anche se non si riusciva a capire cosa, stava accadendo a Berlino. Chiamai la sala situazione della presidenza della Repubblica per avere aggiornamenti ma non mi seppero dire nulla. Allora chiamai lo Stato Maggiore della Difesa, ma anche lì non avevano notizie certe. Alla Farnesina non c’era nessuno. Insomma alla fine, decisi di chiamare il nostro ambasciatore a Pankow, Alberto Indelicato. Mi disse di aver mandato nella zona del Muro un Consigliere d’ambasciata accompagnato, per precauzione, da un militare in divisa.
 
E poi?
Dopo mezz’ora mi chiamò dicendo: è tutto finito. Rimasi totalmente sorpreso. La Volkspolizei, che avrebbe dovuto sparare, non lo fece, perché aveva ricevuto ordini contraddittori dal governo. Nei giorni precedenti era successo che il ministro della Propaganda Schabowski, appena nominato, anche lui privo di precise istruzioni dal suo governo, aveva annunciato che le restrizioni al passaggio tra est ed ovest sarebbero state tolte “sofort, unverzüglich” (“subito, senza indugi”). Quella frase, certamente non concordata e quasi accidentale, fu il segnale che decine di migliaia di cittadini di Berlino est attendevano per andare ai check point e chiedere il passaggio dall’altra parte.
 
Il Muro, quindi, non era poi così stabile…
In realtà, il sistema scricchiolava da tempo. Era in atto uno slacciamento del blocco, anche in modo banale se vuole. All’inizio sembravano gite! Migliaia di cittadini della Repubblica democratica tedesca avevano già abbandonato il Paese sfruttando il varco nella cortina di ferro aperto dall’Ungheria con l’Austria nel maggio del 1989. Tenga presente che la Rdt era il Paese più comunistizzato dell’Europa orientale. Un altro segnale venne poi da Gorbaciov. Nell’ottobre 1989 era stato a Berlino est per celebrare i 50 anni della Costituzione della Rdt, e aveva avvertito Honecker che in caso di sommovimenti non sarebbe intervenuto
militarmente a difesa dell’alleato comunista.
 
Fatto sta che il Muro cadde e ben pochi in Italia ebbero il sospetto che le macerie sarebbero piovute anche nel nostro Paese.
In realtà, il Pci e il Psi di Craxi si resero conto che era in corso un cambiamento epocale per la nostra politica. Dico nessuno, assolutamente nessuno, nella mia Democrazia cristiana capì invece quello che stava per accadere. Ricordo l’amico Antonio Gava, allora ministro degli Interni, che un giorno mi rimproverò per le mie picconate. Mi disse: “Abbiamo governato per cinquanta anni, perché non dovremo riuscire a farlo per altri cinquanta?”.
Io cercavo di mettere in guardia i miei colleghi di partito – lo riconobbe anche la Cia nei suoi rapporti di quel periodo – ma rimasi incompreso, anche quando avvertii: “Attenti: vi prenderanno a sassate per le strade…”.
 
È accaduto più o meno questo, in effetti…
Sì, ma guardi, non è che l’averlo capito prima degli altri mi abbia portato molta fortuna. A dire il vero, riuscivo a vedere quello che accadeva perché ormai mi avevano isolato da tutte le loro lotte interne.
 
Torniamo al Pci, che giudizio dà della sua transizione negli anni successivi al 1989?
Oggettivamente, insieme al Movimento sociale, è l’unica formazione politica che ha resistito, anche se sotto sempre nuove forme, al crollo.
 
Come se lo spiega?
Teoricamente il Psi era meglio posizionato per capitalizzare sui risvolti nazionali di quel grande evento. Ma aveva fatto un errore: aveva pensato che i magistrati e i procuratori, le cui nomine aveva favorito in Csm, gli sarebbero stati per sempre leali. Vorrei ricordare che il monarchico-reazionario Francesco Saverio Borrelli, il “procuratore a cavallo”, fu indicato dai consiglieri laici del Psi contro quelli della Dc. E così fu per altri, importanti magistrati conservatori che in seguito si rivoltarono contro i loro sponsor politici.
 
Mani pulite può considerarsi il frutto di un’obbligatoria azione penale o anche una conseguenza del mutato contesto geopolitico?
Legga L’Italia vista dalla Cia scritto dal corrispondente della stampa a New York, Maurizio Molinari, e da Paolo Mastrolilli: lì c’è scritto chiaramente. Due miei amici, consiglieri di una società di grandi opere pubbliche e arrestati da Di Pietro, mi riferirono che gli interrogatori di Mani pulite erano indubbiamente basati su intercettazioni risalenti ad almeno tre anni prima. Comunque sì, per rispondere alla sua domanda, è chiaro che ambienti Usa facevano il tifo per quel tipo di soluzione giudiziaria.
 
Intanto, a vent’anni dalla caduta del Muro, la sinistra, anche in Germania,
sembra destinata all’eclissi…
C’è un problema enorme dentro l’Spd, ma io sono fiducioso che riescano a riprendersi. Devono passare però per una nuova Bad Godesberg. Se mi chiede un giudizio sullo stato di salute della sinistra, che sembra così malconcia in tutta Europa, le cose variano da Paese a Paese. Ma una sinistra di qualche tipo esisterà sempre.
 
Pensa che la sinistra europea abbia chance di tornare ad un ruolo di governo?
L’Spd faticherà molto a recuperare il terreno perduto. Ma c’è una sinistra che ha vinto alle elezioni tedesche, ed è l’Fdp. Sì, perché i liberali di Westerwelle sono liberal-progressisti, almeno in materia di diritti civili. Lo stesso Westerwelle è gay dichiarato. E sono pacifisti, contrari alla missione afghana sostenuta da Spd e Cdu.
E ricordiamoci che Berlino ha pagato il tributo di sangue più alto, dopo Londra, tra gli europei presenti a Kabul. Per quanto riguarda la Francia, aspettiamo sempre l’epilogo della lotta intestina tra la Royal e la Aubry.
 
E in Italia?
Le sembrerà un paradosso, ma se vincesse Franceschini sarebbe un disastro, anche e soprattutto nei rapporti con i cattolici e gli ex democristiani. Questi sarebbero curati molto meglio da un Pd che ha fatto una chiara scelta in favore di un’identità, ebbene sì, socialista.
 
Intervista pubblicata sul numero 42 di Formiche del novembre 2009
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