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E se a chiedere l’uscita dall’euro non fossero i Paesi in crisi?

Il piano di salvataggio europeo non è al sicuro. Alcuni fattori politici rischiano di mettere a repentaglio i programmi e le previsioni di Bruxelles e di Francoforte. Secondo uno studio dell’SWP Tedesco (Stiftung Wissenschaft und Politik – German Institute for International and Security Affairs), la posizione dei Paesi che hanno un saldo positivo tra entrate e uscite si sta deteriorando di giorno in giorno, mentre i sondaggi e gli scioperi contro le condizioni di salvataggio sottolineano il rifiuto dei Paesi in crisi di incamminarsi in un percorso di consolidamento delle finanze pubbliche.

I costi sociali per i Paesi contributori netti
Daniela Schwarzer, autrice dello studio, sottolinea come l’impressione che i Paesi più in difficoltà siano incapaci di affrontare un percorso di riforme è forte specialmente agli occhi degli Stati dell’Europa orientale, che escono da un ventennio di cambiamenti rivoluzionari.

Conseguentemente la loro voglia di impegnarsi a finanziare l’Europa del Mediterraneo è minima, specialmente se si considera che gli Stati meridionali sono più ricchi dal punto di vista del Pil pro-capite.

Inoltre, i costi sociali ed economici della crisi stanno diventando sempre più forti nei Paesi che sono contribuenti netti. E in ultima analisi, la resistenza a bloccare gli aiuti si sta organizzando in questi Stati, con partiti populisti che incitano pubblicamente alla rottura dell’Eurozona o almeno al passo indietro dei loro rispettivi Paesi.

Nella bufera di un peggioramento della crisi, gli Stati dell’Eurozona avrebbero tre alternative. Prima di tutto, si sottolinea nello studio, potrebbero rifiutare di prendere altre decisioni per affrontare la crisi o rafforzare l’integrazione della regione.

Tre strade possibili nella peggiore delle ipotesi
A) L’addio all’euro
In uno scenario simile bisognerebbe aspettarsi reazioni come le corse agli sportelli e il settore bancario dei Paesi in crisi salterebbe. L’effetto domino aumenterebbe la pressione sugli altri Stati membri. Effetti di contagio diretto, scatenati ad esempio dal fallimento di banche che hanno in pancia bond dei Paesi insolventi o delle banche in fallimento, porterebbero probabilmente alla ricapitalizzazione. Ma gli effetti indiretti, trasmessi attraverso il mercato obbligazionario, sarebbero pressoché impossibili da controllare.

Più a lungo stiamo a guardare, più costoso sarà contenere la crisi. Se la risposta politica dovesse tardare ancora, si arriverebbe al punto di abbandonare l’euro. Allora ci sarebbero due opzioni: far saltare l’euro tutti insieme, o creare un’unione monetaria più ristretta che comprenda gli Stati in grado di darsi garanzie reciproche e in cerca di una maggiore integrazione fiscale ed economica.

B) Un’unione ristretta
La seconda alternativa comporterebbe per i governi la scelta di soluzioni che bypassano i parlamenti nazionali e l’opinione pubblica. Mentre gli Stati membri potrebbero continuare a condividere i loro debiti nel quadro esistente (la Germania con 211 miliardi di euro nell’EFSF), il rischio di default continuerebbe a crescere con l’aumento del volume di credito.
Questa soluzione potrebbe sopravvivere al prossimo stadio della crisi, ma i governi perderebbero la loro credibilità agli occhi degli elettori, portando al limite la polarizzazione tra Paesi contributori e prestatori. Se questa strada fosse presa, si consoliderebbe l’impressione che la politica non è in grado di gestire la crisi. Una prospettiva simile sarebbe del tutto sgradita per Paesi come la Germania, l’Austria o la Finlandia, perché limiterebbe l’autonomia della Bce e perché la monetizzazione del debito farebbe crescere il tasso di inflazione.

C) Il perfezionamento dell’Unione
Una terza alternativa unirebbe rimedi di breve periodo con una discussione importante sulle future prospettive di integrazione. In questo scenario la Germania avrebbe un ruolo fondamentale che comporterebbe la riforma dei trattati, e questo processo potrebbe durare dai tre ai cinque anni, ma alla fine chi dicesse no al nuovo trattato sceglierebbe l’autoespulsione dall’eurozona e possibilmente dall’Unione europea.

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