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Palazzo Chigi? Il “no grazie” del governatore Visco

No grazie. Il governatore di Bankitalia Ignazio Visco respinge l’ipotesi Palazzo Chigi. “La legittimazione delle banche centrali non viene né dall’attivismo, né dalla capacità di produrre reddito, né, se non in un senso molto indiretto, dall’efficienza. Viene dalla competenza, dalla moderazione, dall’orientamento al medio-lungo periodo, dal rifiuto di assumere compiti esulanti dai propri ruoli primari”.

Ecco il passaggio saliente: rifiuto di assumere compiti esulanti dai propri ruoli primari. Come dire: i vertici di Bankitalia stiano in Bankitalia. Quindi non mi muovo dall’Istituto di via Nazionale. Interpretazione corretta? Ambienti di Palazzo Koch, interpellati da Formiche.net, fanno notare: il governatore non vuole essere tirato per la giacca.

La proposta di Mieli

Era stato negli scorsi giorni il presidente di Rcs, Paolo Mieli, a lanciare l’ipotesi di un governo tecnico a guida Visco nel corso della trasmissione In Onda su La7. E oggi il settimanale di economia del gruppo Rizzoli, il Mondo, ha dedicato a Visco la copertina con questo titolo: “La carta di riserva”.

No grazie, invece. Anche se le parole di Visco possono essere indirettamente intepretate come una indiretta critica a chi nel passato recente uomini del vertice della Banca d’Italia (Lamberto Dini?) sono andati a ricoprire incarichi di primo piano nelle istituzioni politiche.

Gli altri governatori prestati alla politica

Angelo De Mattia, già direttore centrale della Banca d’Italia, sovrintendente alla segreteria del governatore Fazio, ora editorialista di MF/Milano Finanza. ha ricordato gli altri casi nella storia della Repubblica che videro passaggi simili da Palazzo Koch a Chigi. Il primo avvenne nell’immediato dopoguerra. “Nel 1947 – ha sottolineato – il governatore Luigi Einaudi fu chiamato a ricoprire la carica di vicepresidente del Consiglio e ministro delle Finanze, prima di essere eletto capo dello Stato. Carlo Azeglio Ciampi fu chiamato nel 1993 a guidare un governo sostanzialmente tecnico che rimase in carica fino al 1994. Poi, dopo l’incarico ministeriale conferitogli nel 1996, fu eletto presidente della Repubblica. Nel 1995, l’allora ministro del Tesoro Lamberto Dini, già fuori dall’Istituto dove ricoperto la carica di direttore generale, fu incaricato di formare un esecutivo che durò fino alle elezioni del 1996. Antonio Fazio, sollecitato dai gruppi della maggioranza ad assumere la carica di premier alla caduta del governo D’Alema nel 2000, non accettò per non corresponsabilizzare nella scelta la Banca d’Italia e continuare a collaborare alla definizione dei rapporti tra Bce e banche centrali nazionali”, ha spiegato.

I rischi di una chiamata di Visco al governo

Ma non bisogna sottovalutare i rischi di questi passaggi. De Mattia ha infatti sottolineato come “chi ipotizza di ripetere l’esperimento, pensa, più che all’economia, specialmente all’assegnazione del compito della riforma istituzionale (legge elettorale, privilegi della politica, riduzione del numero dei parlamentari, legge anticoruzione e del conflitto di interesse ecc.). Come ciò possa avvenire caricando di responsabilità un tale esponente in campo eminentemente politico, ma con una nomina generata dalla contrarietà ai partiti, è un mistero. Il rischio comunque è di coinvolgere la principale, più autorevole istituzione pubblica di questo Paese, che è e deve rimanere autonoma e indipendente, nonché i suoi uomini che si distinguono per prestigio e credibilità, trascinandoli in un terreno infido per una missione nobile certamente, ma che nasce su presupposti non condivisibili e richiede competenze strettamente politiche”, ha concluso.

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